Diciassette anni fa, uscivo la
sera dagli uffici del consiglio comunale di Milano, in via Marino, mettevo tra
parentesi i brividi dei primi lampi di Tangentopoli e andavo a casa di Gianni
Delle Foglie e Ivan Dragoni, vicino a Porta Genova, dove tenevamo meravigliose
riunioni progettando il nostro colpo di scena. L’idea era nata da Gianni, che
gestiva la libreria Babele ed era un animatore dell’ancora piccolo ambiente
gay. Voleva che facessimo qualcosa di nuovo per l’annuale Pride, e ancora non
eravamo in grado di avere migliaia di persone in piazza. Mi avevano proposto di
fare, in qualità di consigliere comunale, la parte dell’officiante del
matrimonio tra lui e Ivan. Lo divertiva l’idea di vestirsi da sposa.
Discutendo, avevamo
aggiustato il tiro del progetto, lasciato perdere i travestimenti da donna,
avevamo coinvolto altre coppie e deciso di ispirarci al progetto di legge che
in Francia allora andava sotto il nome di union civile (e che sarebbe stato
approvato, come Pacs, Pacte civil de solidarité, dopo qualche anno). Le
riunioni erano belle perché ci facevamo il progetto di legge su misura,
chiedendoci di cosa avessimo bisogno e come comunicarlo più efficacemente e
immaginando la cerimonia come lancio. Doveva esserci o no la convivenza come
requisito necessario dell’unione civile? (No). Doveva essere una legge per
tutti o solo per le coppie dello stesso sesso? (Solo dello stesso sesso). Come
doveva essere regolata la separazione? (Lasciando per un certo periodo i doveri
di assistenza al partner povero). Volevamo poter adottare figli? (Almeno per il
momento, no).
Ripensandoci oggi, non so come
facessimo senza internet, ma avevamo informazioni internazionali abbastanza
dettagliate, che ci consentivano di essere in sintonia con le riforme che si
stavano attuando. In Danimarca, dal 1986 era in vigore l’Unione Registrata, una
legge che mi sembrava molto buona. Dovevamo però essere sintetici e
concentrarci su pochi articoli, come ha il codice civile sul matrimonio, quegli
articoli che il celebrante leggi agli emozionati fidanzati nel matrimonio
civile, prima di chiedere il “si” e di dichiarare che i signori x e y qui
presenti sono uniti in matrimonio.
L’idea che aveva convinto
tutti nelle riunioni era quella di rappresentare la cosa come avrebbe dovuto e
potuto essere davvero, senza esagerazioni né ironici travestimenti. Alla fine,
spargendo la voce e accettando anche un paio di coppiette fresche, non ancora
consolidate, avevamo raccolto otto coppie maschili e una femminile, e fatto un
po’ di prove.
il matrimonio finto, "officiato"però dal consigliere vero Paolo Hutter nel 1992 a piazza della scala a Milano |
Qualcuno aveva invitato i familiari
e preparato il bouquet. Con i collaboratori del gruppo Pds del Comune di Milano
avevamo valutato che era impossibile per me indossare per l’occasione una
fascia tricolore ufficiale e ne avevamo chiesta in prestito una identica a un
laboratorio teatrale. L’Italia del ’92 era meno preparata di oggi alle
manifestazioni gay, ma non era più omofobica, anzi: forse i colpi che
Tangentopoli stava assestando al sistema politico rivelavano anche desideri e spinte
di novità legate al meglio dell’Europa.
L’annuncio del nostro simbolico matrimonio collettivo suscitò più curiosità che
indignazione. Piazza Scala si era riempita di curiosi, oltre che di
giornalisti, teleoperatori e simpatizzanti. All’inizio sentivo dalla folla dei
risolini, come se stesse per cominciare un circo. Ma abbastanza rapidamente il
“bacio bacio” gridato alle coppie, man mano che dichiaravo al microfono che i
“signori Giuseppe e Antonio qui presenti sono uniti civilmente”, perdeva il carattere
di sfottò per diventare la divertita commozione con la quale si assiste a un
matrimonio vero. Proprio a Gianni Delle Foglie e Ivan Dragoni, la coppia
capostipite, capitò l’episodio rivelatore del successo umano
dell’inziativa:andarono via con un taxi, e il taxista volle offrire la corsa.
La sera, tutti i telegiornali
mandarono in onda il servizio, senza nessun Casini, Giovannardi o Calderoli a
protestare, registrando solo la “perplessità” di Curia e Prefettura.
Il Prefetto non aveva capito bene
la storia della mia fascia tricolore e aveva protestato con il sindaco temendo
che fosse stato trascritto dagli uffici di stato civile del Comune un
matrimonio “sperimentale”.
Giampiero Borghini – sindaco
travicello durante Tangentopoli per un annetto, prima di arrendersi alle
elezioni anticipate – mi convocò per chiarimenti minacciando di togliermi la
delega per celebrare i matrimoni, quelli veri. Lo pregai di non farlo.
Celebrare matrimoni mi piaceva moltissimo,
ma questa rappresentazione che avevamo fatto non c’entrava nulla con la delega.
Oltretutto non l’avremmo ripetuta negli stessi termini, anche se avevo ricevuto
da alcune coppie in giro per l’Italia la richiesta di fare da celebrante, come
se fossi un santo che fa i miracoli.
Allora, nel ’92, il movimento che in quel
modo nasceva in Italia per le unioni civili non era molto indietro rispetto
agli altri Paesi e ci sentivamo ancora parte del mondo avanzato. Oggi non so se
ridere o sconfortarmi nel registrare che la questione è persino fuori dalla
agenda politica, salvo che non la riportino in auge i ricorsi che alcune coppie
stanno facendo alla magistratura. Ormai ci sono leggi per il matrimonio o per
le unioni civili in mezzo mondo, anche in America Latina. Un tragico destino ha
fatto sperimentare, dalla teoria alla pratica, la durezza della questione
proprio a a Gianni Delle Foglie e a Ivan Dragoni, la coppia trainante del
gruppo del ’92. Quando, l’anno scorso, per un improvviso malore, rivelatosi poi
gravissimo. Gianni è stato ricoverato, Ivan ha dovuto continuamente negoziare e
rivendicare il suo diritto di stargli vicino, a essere informato, a decidere.
“Ho detto che ero il convivente. E ho avvertito l’imbarazzo dei lettighieri.
Comunque sono stati gentili. Mi
hanno fatto salire e siamo arrivati all’ospedale. Da quel momento in poi. Ho
capito che io per loro ero meno di un passante. Cercavano i parenti, quelli
“veri”. Sono stati loro a dire ai medici che era importante che anche io stessi
al capezzale del paziente. Subito dopo l’angioplastica che gli è stata
praticata d’urgenza ho capito che le cose andavano male. Ma non me l’hanno
comunicato loro. Lo dicevano ai fratelli, i quali lo spiegavano a me.
“Quando Gianni è spirato, era
come se fossi diventato invisibile. Per tutte le decisioni importanti
successive alla morte servono le firme
di quelli che per la legge sono i familiari. Quindi i fratelli e le sorelle.
Non io.Questo per il prelievo degli organi, per la scelta della cremazione, per
la richiesta di conservare le ceneri. Bastava che un solo fratello si opponesse
a una di queste cose, che io e Gianni avevamo deciso e sapevamo l’uno
dell’altro, e si sarebbe fatto in modo diverso”.
Dopo 26 anni di vita di coppia,
dopo essere andati in tv come prima coppia dello stesso sesso che, in quanto
tale, rivendica diritti, nell’Italia di Berlusconi e Ratzinger capita anche
questo: che una persona colta e avvertita perda il proprio compagno e trovi
ancora davanti a sé ostacoli di questo genere.
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