1979
una lettera arrivata a
lambda e pubblicata sul n.13 gen/feb 1979
Siamo due compagni che stanno
assieme da sette anni.
Molti gay ci dicono che la
nostra è una situazione privilegiata, altri, invece, arricciano il naso e ci
accusano di riproporre la coppia borghese ed eterosessuale, semplicemente
perché stiamo insieme.
Siamo d’accordo che, sul
piano affettivo, lo stare assieme sia una situazione di privilegio, soprattutto
se rapportato alla ‘norma’ omosessuale, che prevede incontri fugaci in
giardinetti, cinema e discoteche. Quello che vogliamo dire è che non si tratta
di un privilegio piovuto dal cielo, ma costruito giorno per giorno, con
discussioni, beghe (quanti piatti fracassati!) e continui confronti con la
realtà circostante.
In questo caso, più che di
confronti si può parlare tranquillamente di scontri a differenza dell’omosessuale
solo, che si può facilmente relegare nei margini consentiti (ancora una volta
cinemini e discoteche), una coppia omosessuale, dichiarata, occupa spazi non
previsti e scombina quel nucleo basilare della società che è la famiglia,
proponendo uno stare insieme diverso e inquietante. Una coppia gaia, che non
voglia ricalcare gli schemi della coppia “normale” giustamente in crisi, deve
inventare giorno per giorno il suo comportamento, specialmente se deve lavorare
per vivere e quindi è obbligata a calarsi nella realtà dei colleghi di lavoro, degli amici, dei negozi dove fare
la spesa e delle vicine di casa, che ti guardano sbattere le lenzuola
(matrimoniali!). Non ci sono punti di riferimento, a parte le lunghe
interminabili, discussioni con i compagni gay politicizzati o consci della loro
situazione, o la preziosa amicizia con quelle donne coraggiose che devono
inventarsi, anche loro, una vita fuori dagli schemi maschilisti.
Tutto questo non basta, e non
basta, principalmente, la scarsa disponibilità degli omosessuali, per quello
che ci riguarda, quelli non politicizzati sono assorbiti dal sesso, mentre gli
altri rischiano di far sfociare nel fatalismo totale le loro difficoltà
esistenziali.
Data questa situazione, noi
rischiamo di condizionare i nostri rapporti con tutto il movimento: ci
troviamo, infatti, sempre più spesso e sempre meglio, con persone eterosessuali
(com’è brutta questa parola, ma un’altra non ce n’è?) in crisi, che vogliono
discutersi/ci.
Non siamo molto convinti che
ciò sia una buona cosa: la condizione omosessuale ha ancora una
specificità ben lungi dall’essere
superata ed è per questo che vogliamo, nonostante tutto, stare con gli altri
gay, discutere con loro, inventare nuovi modi per uscire dal ghetto.
Eravamo andati a Bologna
anche per discutere della nostra situazione, della coppia omosessuale,del
nostro disagio ma la frammentarietà degli interventi e la nostra timidezza ce
lo hanno impedito.
Neppure siamo riusciti a
metterci in contatto con altre coppie omosessuali per confrontare le nostre
esperienze. Vorremmo allora, su questo giornale, lanciare una discussione sulla
coppia omosessuale, o su altre forme di associazioni gaie (qualcuno a Bologna
parlava di comuni gaie, come è andata a finire?). Vorremmo anche che qualche altra
coppia omosessuale si mettesse in contatto con noi.
Ciao, abbracci Vittorio e William TRENTO –
1981
1981
28 dicembre
Doriano Galli, uno dei più anziani militanti del movimento
italiano, riesce a farsi approvare la prima convivenza legale del nostro Paese
con Patrizio Marseglia. Contemporaneamente otterrà il primo stato di famiglia
tra due uomini conviventi “more uxorio”, in base alle legge 182, art.8 del 23
marzo 1956, con il godimento di tutti i diritti legali derivanti da tale
situazione giuridica.
Nella sua battaglia, Galli, viene aiutato dall’avv.to
Simonetta Massaroni, dall’on. Adele Faccio (Radicale) e dal sindaco di Roma,
Ugo Vetere.
1988
21 gennaio
Dopo essersi separato dal primo partner, Doriano Galli
“contrae nuova convivenza legale” con Pino Cavallo. Il caso è clamoroso perché
dimostra che “mentre i vari movimenti
gay italiani si accaniscono per avere una legge sulle convivenze civili, questa
legge già c’è: basta chiedere che venga applicata”. Galli lo chiede, ed il
cancelliere della Pretura di Roma riconosce la sua convivenza “more uxorio” con
Cavallo ed il 28 maggio successivo il Comune di Roma accetta la sua “domanda di
partecipazione al Bando per la categoria Famiglie di Nuova Formazione..per
l’assegnazione ad equo canone ed a canone sociale di alloggi comunali”.
TRATTO DA BANDIERA GAY
Il movimento gay in Italia dalle origini al 2000 attraverso
l’Archivio Massimo Consoli
Edizioni Libreria Croce 1999
1993
1994
Anche da noi il matrimonio tra "omo" sarà legale
IO VI DICHIARO MARITO E MARITO
A Roma un registro per le unioni civili. E poi case popolari, tutela sul lavoro, adozione di figli..I gay stanno conquistanto parità di diritti. Anche grazie al Parlamento Europeo.
di Claudio Lazzaro
Via Ostiense 202, Roma. Pochi chilometri dal cupolone di San Pietro. E' qui, nella città del Papa, che si sta compiendo la rivoluzione gay. In questi uffici adibiti da tempo a consultorio per l'aids lavora Vanni Piccolo, preside della scuola media "Camilla Ravera", nella borgata Castelverde, nonché delegato comunale per le questioni omosessuali. Grazie all'impegno del professor Piccolo e del sindaco Francesco Rutelli, presto i gay a Roma potranno sposarsi. O, meglio, il Comune riconocerà nello stato civile le loro convivenze, in un apposito registro che solo due comuni d'Italia, finore, avevano avuto il coraggio di creare: Cogoleto (provincia di Genova) ed Empoli (provincia di Firenze). "Sì, è una rivoluzione nel costume" ammette soddisfatto il preside Piccolo. E racconta "A Rutelli avevamo chiesto un incontro durante la campagna elettorale. Lui ci mostrò subito molto interesse, molta disponibilità. Ma il bello è che adesso sta mantenendo le promesse!".
Ma la carica esplosiva della decisione di Rutelli va ben oltre la capitale. Sì perchè galvanizzati dalla vittoria romana, gli esponenti omosessuali hanno capito che è il momento di chiedere di più a livello nazionale, soprattutto in vista delle elezioni del 27 marzo. Sicché Franco Grillini, il leader dell'Arcigay, ha indirizzato a tutti gli esponenti del tavolo progressista un pacchetto di richieste da trasformare in legge, come il riconoscimento formale dei matrimoni civili, e un considerevole aumento dei fondi per la lotta all'aids. Finora, impegnati nelle difficili trattative pre-elettorali, le sinistre non hanno dato risposta, ma la comunità omosessuale italiana è in ottimistica attesa: come in America, ormai costituisce una lobby che può donare o negare voti decisivi ai candidati nei collegi uninominali. Da Roma all'Italia, dall'Italia all'Europa: la battaglia dei gay sembra in questi giorni vincente anche al Parlamento di Strasburgo, che ha appena approvato una risoluzione per far gradualmente sparire, in tutti gli Stai della Ue, ogni distinzione di fronte alla legge fondata sull'orientamento sessuale. Il che, tradotto, significa: tutti i Paesi europei dovranno con tempo riconoscere alle coppie gay la possibilità di sposarsi, adottare bambini, e godere di tutti i diritti delle famiglie normali.
Una votazione, quella di Strasburgo, che ha visto la dura opposizione del gruppo democristiano e che ha fatto felici gli attivisti del movimento gay: " E' perfino più di quanto speravamo", commenta il consigliere comunale milanese Paolo Hutter, decano delle battaglie omosessuali (ha celebrato, tra l'altro, un matrimonio "multiplo" tra dieci coppie "gay"in Piazza Scala).
"In pratica il Parlamento europeo ha stabilito che una coppia gay debba essere equiparata in tutto e per tutto a una coppia etero". Indipendente nelle liste del Pds, Hutter fa capire che si batterà perchè l'Italia sia il primo Paese a recepire la risoluzione approvata a Strasburgo. Insomma, la seconda metà degli anni Novanta vedrà il processo di emancipazione gay passare dai cortei ai riconoscimenti formali, dal folclore alle proposte di legge. E la Seconda Repubblica italiana potrebbe diventare, se vinceranno le sinistre, il laboratorio di questa piccola rivoluzione libertaria.
"Ma una volta raggiunti i nostri obiettivi, frena Vanni Piccolo, la situazione non cambierà, se non riusciremo a trovare il coraggio di uscire alla luce del sole. Se ti presenti per quello che sei, in modo chiaro, la gente è disarmata. E' questo l'unico modo per togliere alla società il piacere di stanarti, il gusto sadico della caccia al diverso". Giovanni Dall'Orto, autore di Manuale per coppie diverse, appena pubblicato dagli Editori Riuniti, sostiene che in Italia ancora oggi, nonostante la tutela sindacale, molti omosessuali vengono licenziati soltanto perchè tali. "Il datore di lavoro non deve nemmeno cacciarli", spiega Dall'Orto, "altrimenti il pretore li reintegrerebbe". Per liberarsi di un lavoratore omosessuale basta ricattarlo. Se non te ne vai, io faccio circolare in tutto il paese la voce che sei un frocio. Ed è fatta". Ma è proprio nel campo sindacale che gli omosessuali italiani hanno dissotterrato l'ascia di guerra. Massimo Mariotti, giovane bancario milanese, responsabile delle politiche omosessuali per la Cgil, ha suscitato scalpore rivendicando il diritto alla luna di miele gay, "Io non ho fatto altro ch chiedere l'estensione del congedo matrimoniale alle coppie, di qualsiasi genere, che decidono di affrontare la convivenza", spiega Mariotti. "Si tratta di riconoscere alle famiglie di fatto, etero o gay, tutte le agevolazioni previste dai contratti di lavoro". Mariotti è riuscito a inserire queto punto nelle piattaforme nazionali di ben quattro contratti: credito, assicurazioni, metalmeccanici e chimici. Ma è ancora più orgoglioso di essere riuscito a far discutere sindacati e datori di lavoro su un altro punto fondamentale. "Vogliamo estendere ai gay la legge sulle pari opportunità tra uomini e donne, soprattutto dove stabilisce che dev'essere il datore di lavoro a dimostrare che non c'è stata discriminazione sessuale". Questo principio, cioè l'inversione dell'onere di prova, è nato per garantire le lavoratrici che in fabbrica, dopo aver subito una discrimninazione sessuale, non riuscivano a trovare chi testimoniasse in loro favore. Ma è giusto mettere un maschio omosessuale sullo stesso piano di una donna, in materia di molestie sessuali e discriminazioni? Sì, secondo una sentenza su cui la Corte costituzionale è stata chiamata a deliberare. A Milano, nella toilette di una pizzeria, due giovani agenti di polizia hanno raggiunto, al termine di un pedinamento, un grazioso omosessuale. Poi hanno bloccato la porta, lo hanno obbligato ad una duplice fellatio e hanno tentato, senza riuscirci, di sodomizzarlo. Ricoverato in ospedale il malcapitato ha trovato il coraggio di sporgere denuncia. Ora la Corte deve decidere se l'articolo 523 del Codice Penale (atto a fine di libidine) sia applicabile anche quando è un uomo a subire la violenza.
La violenza contro gli omosessuali è diffusissima e sommersa, dice Davide Barba, docente di filosofia del diritto all'Università di Napoli che, assieme a un gruppo di giuristi napoletani, ha scritto un Manuale di Autodifesa pubblicato dall'Arci, "Sono violenze che non vengono denunciate, per paura di esporsi come omosessuale. Dichiararsi qui a Napoli, può volere dire perdere anche l'ulitmo straccio di lavoro". E il professor Barba racconta di un ragazzo, un lavapiatti abusivo, che pochi giorni fa è stato licenziato: "Perchè se poi ti tagli, ci contagi con l'Aids tutti quanti, gli hanno detto".
Eppure anche a Napoli il vento sta cambiando due settimane fa il Consiglio comunale ha approvato con la sola astensione del Movimento Sociale, l'istituzione di un osservatorio sulle violenze a sfondo razzista e sessuale, che verrà utilizzato anche dagli omosessuali. Un altro colpo di piccone al vecchio muro, Come gli ordini del giorno con cui i Comuni di Bologna, Milano e Genova hanno interpretato la legge sull'assegnazione delle case popolari, estendendo il diritto alle coppie omosessuali. Un diritto più formale che sostanziale dal momento che i punteggi favoriscono le famiglie numerose, ma che ha scatenato la bagarre negli ambienti della destra clericale. Per non parlare delal Lega Nord celodurista che, nel dibattito al Comune di Milano, accecata dall'odio per i gay, non si è accorta che alla fine, nell'assegnazione dei punteggi, ha vinto lo straniero (15 punti se sei un extracomunitario, soltanto 5 se sei un milanese).
A le obiezioni alle nuove conquiste degli omosessuali sul piano dei diritti civili non vengono soltanto da ambienti retrivi. Il sociologo Sabino Acquaviva ha recentemente criticato la rivoluzionaria direttiva del Parlamento Europeo sostenendo che un bambino adottato da una famiglia gay non avrebbe, sul piano psicologico e sociale, le stesse opportunità di un bambino allevato in una famiglia classica. Gli mancherebbe il modello "maschio-più-femmina" e verrebbe traumatizzato a scuola dagli schermi degli altri bambini. A proposito della possibilità rivendicata da donne singole, a volte lesbiche, di crescere un bambino, altri hanno fatto notare che in America la causa principale di violenza è proprio la famiglia disgregata, in cui un genitore, quasi sempre la madre separata , si trova da solo ad allevare i figli. Argomentazioni che vengono smontate da Brett Shapiro, giornalista americano residente a Roma, autore di un libro sulla storia del suo amore col giornalista Giovanni Forti, L'intruso, pubblicato lo scorso settembre da Feltrinelli. Shapiro cinque anni fa in Texas, pur essendo singolo e gay, ha potuto adottare un bambino mezzosangue. Shapiro ora vive con un nuovo compagno che, a sua volta, ha in adozione un figlio oramai quindicenne. Una famiglia che sembra la perfetta attuazione della "scandalosa" direttiva della Ue.
Rimane aperta la domanda: è realistica la prospettiva aperta dal Sindaco di Roma e dal Parlamento europeo? I gay sapranno rinunciare alle abitudini pericolose (come il sesso con sconosciuti, indiscriminato e suicida, nelle dark room), per trasformarsi in buone madri e padri di famiglia? Giovanni Dall'Orto, che vive da dodici anni felicemente con lo stesso compagno, è sicuro di sì: "Gli omosessuali vanno contro corrente. Proprio nel momento in cui la vecchia famiglia classica eterosessuale si avvita e precipita, noi convergiamo verso la famiglia nuova, più solida quanto più aperta e variegata".
Qualche riserva giunge invece dal campo lesbico: "Come donna, quando sento parlare di famiglia mi spavento", dice Deborah Di Cave, vice presidente del circolo culturale Mario Mieli di Roma, "Credo che dovremmo rimettere in discussione il concetto di famiglia basato su due persone che si amano. Non c'è bisogno del vincolo sentimentale perchè due individui, alleati nella vita, chiedano il diritto a ereditare e alla reversibilità della pensione, agli alimenti, all'assegnazione di una casa". La tesi futuribile espressa da Deborah Di Cave complica ulteriormente il quadro della situazone e ripropone l'interrogativo che Claire Bretecher, la gratificante disegnatrice satirica francese, metteva in bocca a uno dei suoi personaggi:" L'uomo nuovo sarà un omosessuale convertito, o una lesbica mancata?".
Europeo 23 febbraio 1994
2005
Audizione
dell’avvocato Marina Marino, presidente dell’Associazione nazionale avvocati
matrimonialisti
CAMERA DEI DEPUTATI – XIV LEGISLATURA
Resoconto stenografico della II Commissione permanente (Giustizia)
Seduta del 22 giugno 2005
Indagine conoscitiva sulle tematiche riguardanti le unioni di fatto ed il patto civile di solidarietà.
Audizione del’avvocato Marina Marino, presidente del’Associazione nazionale avvocati matrimonialisti.
(Fonte: www.parlamento.it)
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PIER PAOLO CENTO
La seduta comincia alle 9,10.
PRESIDENTE. ‘ordine del giorno reca, nel’ambito del’indagine conoscitiva sulle tematiche riguardanti le unioni di fatto ed il patto civile di solidarietà, ‘audizione del’avvocato Marina Marino, presidente del’Associazione nazionale avvocati matrimonialisti.
Ringrazio ‘avvocato Marino per la sua presenza in questa Commissione e le do subito la parola per la sua esposizione.
MARINA MARINO, Presidente del’Associazione nazionale avvocati matrimonialisti. La giurisprudenza ha tentato più volte di affrontare il tema in esame ma senza grandi risultati, salvo alcune affermazioni di principio importanti indicate dalla Cassazione fin dal 1993. Quindi, salutiamo con grande soddisfazione il fatto che il nostro legislatore si stia occupando di un tema che più volte è finito nelle aule di giustizia senza riuscire a trovare alcun esito al di là di affermazioni di principio come quella espressa dalla Cassazione nel 1993.
Oggi si assiste a un tentativo di regolamentazione attraverso numerosi progetti che sono stati presentati, dopo che anche ‘Unione europea ha espresso alcune raccomandazioni (che in molti Stati sono già state accolte) riguardanti la necessità di dare garanzie e regolamentazione al tema in esame.
Le modalità con cui può essere affrontata questa materia sono sostanzialmente due (si ritrovano anche nei diversi progetti pendenti in Parlamento). Si tratta, da un lato, di regolamentare le unioni per il solo fatto che esistono, quindi, ribaltando le norme che riguardano il matrimonio, intervenendo in favore delle unioni di fatto, dal’altro, di approntare progetti di legge che abbiano come obiettivo quello di riconoscere un patto di civile convivenza tra persone che decidono di vivere insieme.
Il problema di maggiore difficoltà rimane, comunque, quello relativo alle coppie omosessuali, per le quali, però, va ricordato che esiste una raccomandazione del’Europa precisa e chiara al riguardo.
Vorrei ora fare un richiamo alle discriminazioni che esistono tra i figli cosiddetti legittimi e quelli naturali. Innanzitutto, ritengo che sarebbe ora di abolire le differenze che ancora esistono, al di là di quanto si crede, fra queste due figure o tipologie di figli; si tratta della differenza caratterizzata dal’aggettivazione accanto alla parola «figlio». Infatti, tale semplice aggettivazione – figlio «legittimo» o «naturale» – è già, di per sé, una discriminazione contro la quale è necessario battersi. Quindi, inizierei con il domandare al legislatore che questa aggettivazione venga eliminata perché ciò si traduce in una discriminazione di fatto.
Per quanto riguarda ‘associazione che rappresento (salvo, poi, un ulteriore esame delle norme al vaglio del Parlamento) la nostra scelta va verso quel’istituto che, in Francia, è dominato PACS, cioè, un patto di solidarietà civile (così come si rinviene in alcuni progetti presentati). Seguiamo, quindi, una scelta di intervento secondo ‘individuazione di garanzie che debbono darsi sia per le coppie, sia, soprattutto, per i figli.
Ritengo sia ora necessario sottolineare alcuni problemi che mi preme richiamare alla vostra attenzione. Si tratta della necessità e possibilità di chiarire un fatto che si ritrova in modo abbastanza uniforme in tutti i provvedimenti, per cui è necessario intervenire in modo specifico, al di là degli aspetti relativi ai figli cui ho appena accennato.
Si tratta del problema relativo alle successioni (il nostro lavoro ci porta a verificare quali sono gli aspetti che maggiormente colpiscono i cittadini), della necessità di stare vicino al convivente in caso di malattia grave e, da ultimo, del problema relativo ai beni patrimoniali. In particolare, con riferimento a ques’ultimo, basti pensare alla possibilità, data ai soli figli legittimi, di liquidare la parte di patrimonio dei loro fratelli o sorelle «naturali» in caso di successione (in pratica, la volontà dei primi di procedere alla messa in liquidazione di uno o più beni prevale su quella dei secondi di opporsi.)
A questo punto, è utile ricordare che nel 1993 la Cassazione ha considerato come legittimi gli accordi tra conviventi in previsione della cessazione della convivenza (mi viene in mente che la Cassazione, per quello che riguarda i coniugi, ha poi sempre negato la possibilità degli accordi in previsione del divorzio ma questo è un altro discorso).
Ciò sta a significare che, da sempre, la cultura giuridica riconosce la possibilità ai cittadini di regolamentare i propri rapporti tramite accordi. Ciò premesso, il PACS è, secondo noi, lo strumento con cui si consente, intanto, una conoscenza diretta ai cittadini di questa situazione nel senso che troviamo assurdo il fatto che, ad oggi, il nostro paese riconosca la convivenza sotto il profilo legislativo soltanto in u’occasione, cioè, quando si tratta di effettuare delle visite a un detenuto da parte del convivente. È un caso abbastanza singolare perché il legislatore sembra essersi preoccupato di riconoscere la convivenza soltanto sotto questo aspetto che ho appena ricordato, il che fa sorridere (forse, pensava che i conviventi sarebbero stati quelli più soggetti a provvedimenti restrittivi della libertà; altrimenti, non si spiega perché non si è mai occupato della questione in altre occasioni).
Di questo aspetto, si è occupata la Corte costituzionale, in una sentenza del 1988, quando ha dichiarato ‘illegittimità di una norma che impediva la prosecuzione del contratto di locazione in capo al convivente. Addirittura, fino a quel momento, sempre a proposto di discriminazione nei confronti dei figli, neppure i figli naturali avevano il diritto di succedere nel contratto.
Mi pare che nei progetti al vostro esame venga fatta giustizia di tutta questa situazione, ma ribadiamo che ‘aspetto al quale teniamo particolarmente riguarda ‘eliminazione delle discriminazioni sotto ogni profilo nei confronti dei figli.
Le prime volte che ho parlato di discriminazione nei confronti dei figli mi sono sentita aggredita da coloro che rivendicavano il fatto che la legge sul diritto di famiglia le aveva abolite tutte. Ora, la legge sul diritto di famiglia è, a mio giudizio, una delle più belle leggi che siano state fatte dal nostro legislatore. Essa ha dei meriti enormi, come quello di aver adeguato alla Costituzione le norme che riguardano i rapporti familiari: sicuramente, però, non ha abolito tutte le discriminazioni. Tale legge ha contribuito a fare un primo passo in avanti, nel senso che non è stato più consentito parlare di figli illegittimi (questa, mi pare già una grande conquista). Ora, però, è necessario fare un successivo passo. Non si può più discriminare tra figli specificando con aggettivi qualificativi la loro posizione.
Tra le proposte in discussione, sono interessanti quelle che riguardano il riconoscimento del’esistenza di una convivenza che, per scelta delle persone, viene portata davanti al sindaco per essere riconosciuta secondo modalità che, alcune volte, sono predeterminate da norme le quali potrebbero essere anche di dettaglio. Come associazione, intendiamo impegnarci per far sì che le persone sappiano che, in determinate questioni, è possibile regolare i propri rapporti in maniera ulteriore rispetto a quanto stabilito dalle norme. Le norme devono infatti offrire un minimo di base comune a tutti ma poi, se i cittadini intendono compiere determinate scelte, ciò deve essere loro consentito. Per esempio, se in caso di successione, per una scelta che può essere condivisibile o meno, oggi non è previsto il pagamento di imposte, tali imposte non devono esistere più neanche tra i conviventi e nei confronti dei figli di questi ultimi.
Infine, un ulteriore problema che vorrei segnalare attiene alla necessità di prestare una particolare attenzione rispetto alle modalità di interruzione della convivenza. Ritengo che si debba operare una sorta di separazione dei conviventi. È necessario, però, chiarire questo punto. La scelta di cessare la convivenza può essere unilaterale (ho visto che sono previste varie modalità nei diversi progetti di legge); tuttavia, mi interessa ribadire la necessità che per tutte queste vicende (anche nel’ipotesi di un contrasto fra le due parti in ordine al’esecuzione dei vari impegni e obblighi reciproci discendenti dal rapporto) si faccia riferimento, comunque, alla giustizia ordinaria per il rispetto e ‘applicazione delle norme previste.
Sottolineo questo punto non tanto perché siamo preoccupati nello specifico ma per un atteggiamento generale di sottrazione alla giurisdizione di temi che sono tipici della stessa. Non possiamo declassare, come si è fatto per molti anni nei confronti dei minorenni, i diritti dei cittadini, la cui composizione, ove ci siano dei contrasti, deve avvenire nei tribunali.
‘è, invece, un tentativo di declassamento di questi diritti a meri interessi, quindi, ad una amministrativizzazione della situazione. Ciò non è ammissibile, né condivisibile perché i cittadini hanno il diritto di vedere decise le loro questioni da un tribunale con le garanzie del diritto di difesa e quan’altro.
PRESIDENTE. Ringrazio ‘avvocato Marino per la sua esposizione. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire.
GIULIANO PISAPIA. È stata richiamata la sentenza della Cassazione del 1993; mi domando se sul riconoscimento di un accordo tra i conviventi, nel rispetto di un patto – di un contratto – tra essi, in caso di separazione ci sia una giurisprudenza di merito. Ci sono dei contrasti su questo tema?
MARINA MARINO, Presidente del’Associazione nazionale avvocati matrimonialisti. Ce ne sono parecchi!
GIULIANO PISAPIA. Sì, ma vanno nel senso di questo indirizzo?
MARINA MARINO, Presidente del’Associazione nazionale avvocati matrimonialisti. La sentenza della Cassazione è importante perché è una delle poche che è riuscita ad affrontare la questione in questi termini. Infatti, i tentativi di proporre tali questioni, per lo più, non hanno consentito questa scelta perché il più delle volte sono stati presentati ricorsi in materia di lavoro, presi, a mio giudizio, da un capo sbagliato. Sono state presentate una serie di cause di lavoro nelle quali, in genere, un convivente faceva causa al’altro per ‘attività espletata negli anni della convivenza. Ciò non è condivisibile: sotto il profilo del principio è totalmente inaccettabile presentare la convivente come una sorta di cameriera non pagata. Comunque, se la giurisprudenza al riguardo è stata negativa, ci sono dei casi in cui il problema è stato posto sia al tribunale ordinario, con una richiesta di applicazione in via analogica delle norme relative al mantenimento e alla separazione (ma queste sono state dichiarate inapplicabili), sia sotto il profilo appena ricordato, che era particolarmente sbagliato.
Quella sentenza della Cassazione cui ho fatto riferimento, parte, invece, da una causa iniziata sulla base di un accordo stretto tra i conviventi al momento del’avvio della convivenza. Si trattava di una sorta di accordo prematrimoniale – di preconvivenza – che doveva trovare applicazione laddove la convivenza fosse venuta meno. La Cassazione ha ritenuto la liceità, la legittimità e la validità di tutti quegli accordi, che prevedevano, tra ‘altro, per esempio, la costituzione di un comodato del’immobile in cui i conviventi vivevano a favore di uno dei due.
Quindi, questa sentenza della Cassazione ‘è stata – è una delle poche – perché, innanzitutto, è estremamente difficile che i conviventi stipulino prima del’inizio della convivenza un accordo. Se, infatti, i conviventi facessero ciò, sarebbe lasciata alla loro capacità di accordo e alla loro volontà di tutelare o meno (a seconda della forza dei contraenti al momento della convivenza) una certa situazione ogni passaggio futuro. Comunque, un accordo di tal guisa, sarebbe tuttora ritenuto valido dalla Cassazione perché ‘orientamento della Corte in proposito non è cambiato.
GIULIANO PISAPIA. Secondo me, ciò che è avvenuto dopo il 1993 dimostra la necessità di intervenire in questo campo perché si ha già una giurisprudenza che ha preceduto il legislatore.
‘altro aspetto che è stato sottolineato e su cui mi interessa ricevere un ulteriore commento di approfondimento riguarda una delle obiezioni che viene mossa rispetto a una situazione che noi consideriamo ingiusta; nel caso di assistenza al malato o di decisioni in sua vece quando questi non sia più in grado di farlo, viene privilegiato il familiare o il figlio legittimo. Anche nel corso di una precedente audizione, secondo la testimonianza di uno degli auditi, si ribadiva il concetto per cui molti trovano assurdo il fatto che la volontà del convivente possa prevalere su quella del figlio legittimo, rispetto a scelte che potrebbero riguardare la sopravvivenza o meno del malato.
Sotto questo profilo, che tipo di riflessione ‘è stata? Esiste una soluzione che può essere equilibrata e contemperare le due esigenze?
MARINA MARINO, Presidente del’Associazione nazionale avvocati matrimonialisti. Ritengo che non sia possibile operare, rispetto a questo tipo di situazioni, una graduazione tra soggetti che abbiano a dire sulla terapia da seguire, sulle scelte terapeutiche o sulla semplice visita. Vi sono situazioni non infrequenti nelle quali al momento della malattia di uno dei conviventi – ovviamente, mi riferisco a malattie gravi – il convivente, per ‘opposizione della famiglia di origine del’altro, non riesce neppure ad arrivare a parlare con i medici in ospedale, perché magari questi si rifiutano di parlare o dare comunicazione al convivente. Questo fatto mi pare veramente inaccettabile: si tratta di una graduazione di sentimenti per cui sarebbe migliore e più tutelabile il sentimento del figlio piuttosto che quello del convivente.
Quindi, mi rendo conto che è una situazione di difficile soluzione; tuttavia, sotto il profilo tecnico-giuridico non vedo come possa essere riconosciuta al’uno piuttosto che al’altro una possibilità di esclusione.
Un tema sicuramente più difficile attiene alle scelte terapeutiche. Ciò che, comunque, ritengo inaccettabile è la possibilità che ‘uno o ‘altro convivente possa escludere dalla vicinanza e dalla assistenza della persona malata il figlio o chicchessia. Questo è un principio umanitario minimo e non ‘è alcuna norma di diritto che consenta di fare una scelta di questo tipo!
Un argomento più difficile è invece quello della scelta terapeutica che, a mio personale giudizio, è risolvibile soltanto con il testamento biologico delle persone. Tra ‘altro, spesso e volentieri non siamo di fronte a situazioni di incapacità. Ci sono anche queste ma si tratta di altre questioni.
In questo ambito, va quanto meno chiarita la necessità di impedire che vengano compiute delle azioni di esclusione da parte di alcuni perché non ‘è alcuna norma che consente ciò; sarebbe contrario ad ogni minimo sentimento civile.
FRANCO GRILLINI. Sono particolarmente interessato da ciò che avviene dentro le aule dei tribunali perché quello della convivenza è ormai un fenomeno di massa, come dimostrano i dati ISTAT, peraltro, assolutamente imprecisi. A questo proposito, ricordo che ho presentato u’interrogazione parlamentare sulle modalità di raccolta di questi dati in occasione del censimento, ma la risposta del sottosegretario Ventucci mi ha lasciato totalmente insoddisfatto. Nel censimento, infatti, sono stati dichiarati incongrui e pertanto non utilizzabili i dati relativi alle coppie dello stesso sesso.
Tuttavia, nonostante le modalità dubbie di rilevazione del fenomeno della convivenza nel nostro paese, sta di fatto che persino secondo ‘ISTAT si tratta di un fatto in netta crescita che coinvolge ormai alcuni milioni di persone. Ciò si riflette anche nel’attività dei tribunali (non a caso nelle relazioni introduttive, al’apertura degli anni giudiziari, molti interventi sottolineano che il legislatore dovrebbe intervenire su questa materia).
Le vertenze nei tribunali sono ormai moltissime, sui più disparati argomenti. Alcune sono state da lei citate; altre sono relative a questioni molto serie, come quella della casa, non completamente risolta dalla sentenza della Corte costituzionale del 1988. Con tale sentenza, infatti, non si interviene sulla proprietà, per cui qualora il deceduto sia il proprietario della casa, il convivente che vi abita non può più vantare alcun titolo per continuare a vivere in quel’abitazione. Ci sono stati casi, anche illustri, di persone che hanno dovuto lasciare la casa immediatamente dopo il decesso della persona, con le conseguenze che vi lascio solo immaginare, posto che al danno della morte del convivente si aggiungeva anche quello di uno sfratto forzoso. Addirittura, in qualche caso, i parenti hanno chiesto anche ‘intervento della Forza pubblica. Quindi, non ci sono solo i processi relativi alla convivenza.
Il caso che poi si verifica più frequentemente, soprattutto a fronte di rapporti eterosessuali, è quello per cui un uomo si trova una donna più giovane sbattendo fuori di casa la compagna. Sul piano dei numeri questa è la fattispecie che si verifica più spesso. In tali casi, la povera convivente non può vantare alcun diritto e si vede così costretta ad aprire una vertenza di lavoro: ‘unico escamotage possibile.
Sono ‘accordo sul fatto che tale soluzione, in casi del genere, non ‘entra nulla ed è umiliante per la persona che la utilizza (non è umiliante farsi passare per una cameriera ma dovere rivendicare i propri diritti secondo questa modalità); rimane tuttavia ‘unico mezzo per rivendicare i propri diritti e, magari, la proprietà dei beni mobili e immobili che, spesso, per ragioni note di distribuzione del potere al’interno della coppia (sempre a favore del’elemento maschile), si fa risalire al’uomo. Quando poi la convivenza finisce, sorgono i problemi di divisione del patrimonio comune (magari è il caso di u’azienda costruita insieme) e dei beni mobili, che hanno un forte valore affettivo.
Da quello che mi risulta ci sono molte vertenze relative ai beni mobili. Ho visto alcuni casi drammatici dove il convivente ha dovuto dimostrare fatture alla mano, anche delle suppellettili, degli elettrodomestici. Da questo punto di vista in molte situazioni non sono stati riconosciuti neanche i patti di convivenza stipulati presso degli studi notarili, che danno questa possibilità pur premettendo che il loro valore legale è dubbio.
Uno degli elementi di polemica su questo terreno con chi non è ‘accordo sul’introduzione di una normativa simile a quella denominata PACS è che la nostra legislazione e la nostra giurisprudenza riconoscerebbero già questi diritti per cui non ci sarebbe alcun bisogno di una legge. Ovviamente, credo si tratti di un errore, in qualche caso persino di malafede, perché il nostro ordinamento non riconosce la validità degli accordi di convivenza, che servono più per le persone che li stipulano, come regolazione interna alla coppia, che come tutela legale. Un tentativo per attribuire valore legale ai patti di convivenza fu fatto dal’allora ministro Bellillo, ma non riuscì neanche ad arrivare al’approvazione in Consiglio dei ministri, senza ricordare poi gli altri tentativi non andati in porto.
Noi siamo di fronte ad una «vertenzialità» diffusa; probabilmente sarebbe utile che la Commissione studiasse questo aspetto, perché spesso e volentieri si parla di coppie di fatto, ma si ignora che vi sono mille storie riguardanti tali coppie, con situazioni molto dolorose, al limite della crudeltà.
Nella sua esperienza professionale quali sono le questioni che noi ritroviamo più frequentemente nelle aule dei tribunali?
MARINA MARINO, Presidente del’Associazione nazionale avvocati matrimonialisti. Le questioni che noi troviamo sono quelle relative alla divisione dei beni, soprattutto quelli mobili, perché nella divisione dei beni immobili i problemi in genere non si pongono. Soprattutto se il bene è cointestato, è tutto a posto; altrimenti, magari in presenza di contribuzioni non uguali da parte dei due conviventi, il problema si pone anche per questa tipologia. Per ciò che riguarda i beni mobili vi sono una serie di vertenze che difficilmente hanno esito positivo, in quanto, se una coppia acquista gli arredi della casa e i vari oggetti, è difficile che con il passare degli anni tenga con sé la fattura, anche perché spesso non ‘è mai stata. Il problema diventa complicato nel momento in cui si tenta di ottenere il riconoscimento che determinati beni sono stati acquistati da uno dei due in modo da ottenere ‘attribuzione in proprietà degli stessi. Si consideri che per la maggior parte delle coppie conviventi questo processo è estremamente antieconomico, in quanto dura diverso tempo, ha dei costi rilevanti e quasi mai gli oggetti sono di valore. Malauguratamente spesso si tratta di arredi fondamentali sotto il profilo affettivo ed economico; per le persone dover riacquistare questi beni costituisce una spesa estremamente onerosa. Trovare una soluzione automatica rispetto a questo problema garantirebbe un minimo di giustizia al’interno di queste situazioni.
Vorrei fare una precisazione, la sentenza che richiamavo prima è la n. 6381 del 1993; quando facevo riferimento alla possibilità di regolamentare il comodato ‘uso della casa, il riconoscimento di un diritto reale come ‘usufrutto degli immobili, la possibilità di vedersi riconosciuta ‘erogazione di una somma, intendevo dire che non possono certo essere le parti a regolamentare aspetti che debbono essere disciplinati dalla legge, come i problemi relativi ai figli, alla successione e tutti gli altri cui facevo prima riferimento. Il fatto che la Cassazione abbia riconosciuto tutto questo non significa certo che sia inutile una normativa al riguardo, perché quegli accordi non potranno mai regolamentare questioni che investono altri; ad esempio due parti possono anche stabilire la reversibilità di una pensione al momento della morte di uno dei due, ma non ci sarà ente previdenziale che la paghi se non è tenuto a farlo in base ad una norma.
BEATRICE MARIA MAGNOLFI. Ho ascoltato con attenzione ‘intervento del’avvocato Marino, sono rimasta particolarmente impressionata dalla sua considerazione relativa alle discriminazioni sui figli. In effetti ci troviamo di fronte a regimi completamente diversi, che fanno pensare ad una discriminazione che non mette in linea con il dettato costituzionale neanche i figli, soprattutto se si pensa che queste coppie di fatto sono a volte determinate dalle lungaggini del divorzio derivanti dalla legislazione e dai tempi della giustizia. Come Commissione, nel cercare di portare avanti il provvedimento, abbiamo pensato di concentrarci sulle questioni che riguardano la convivenza tra gli adulti, rinviando alle previsioni attualmente contenute nel codice civile le questioni riguardanti i figli. Per un motivo di strategia parlamentare pensiamo che in questo caso sia opportuno cominciare a regolamentare la situazione che, come si è detto finora, produce contenzioso e non dà diritti, introducendo nel’ordinamento questo principio. Anche io considero enorme il problema dei figli e, probabilmente, meritevole di un provvedimento ad hoc. Vorrei conoscere ‘opinione di un tecnico su questa modalità dettata più da opportunità politica che da altro. Siamo su un terreno nuovo, molto complesso; pensiamo che il primo passo fondamentale sia quello di inserire nel’ordinamento questa casistica, dotando di diritti le persone adulte che attualmente ne sono completamente prive. Ritiene che un provvedimento appositamente dedicato ai figli possa rappresentare la soluzione migliore per tutti i numerosi aspetti che interessano la questione?
MARINA MARINO, Presidente del’Associazione nazionale avvocati matrimonialisti. Se questo è un impegno ad affrontare la questione del superamento delle discriminazioni che pure ancora esistono nei confronti dei figli, va benissimo.
È necessario, però, mettere al’ordine del giorno un problema che non costituisce semplicemente un fatto nominalistico, bensì di sostanza. Parlare di figli legittimi o naturali, è evidentemente improprio e provoca, di per sé, delle discriminazioni. Quindi, se le vostre parole vanno nel senso di impegnarsi ad affrontare il problema in tempi brevi, ne sono felice. Mi auguro che questo compito venga portato a termine.
NINO STRANO. Ringrazio ‘avvocato Marino per la sua esposizione. Vorrei soltanto sollecitare un parere tecnico in merito a quanto pubblicato oggi da Il Messaggero in prima pagina. Si riprende una dichiarazione di Doriano Galli, segretario nazionale della lega per i diritti sessuali della persona, il quale cita una legge del 1937 che permette di certificare le convivenze more uxorio. Pare che vi siano state due sentenze in tal senso – una sarà addirittura festeggiata in questi giorni a Roma – che hanno permesso la certificazione di questo status (una nel 1981 e una ulteriore nel 1985).
Si conclude ‘articolo sostenendo che la legge ‘è ma è poco nota; per questo motivo le domando se, a suo parere, qualora fosse vero questo tipo di impostazione, proprio essa non possa esserci utile nel percorso che stiamo realizzando.
MARINA MARINO, Presidente del’Associazione nazionale avvocati matrimonialisti. Non conosco queste sentenze ma ho ‘impressione che si faccia riferimento a quanto ho già affermato, cioè, alla possibilità di dichiararsi al comune come conviventi. Infatti, ‘unica norma che dà rilevanza giuridica allo stato di fatto della convivenza risultante dal certificato anagrafico è la possibilità per il convivente di andare a trovare in carcere il convivente detenuto. Non conosco le due sentenze da lei citate; osservo comunque che dal’ultima – quella del 1985 – sono passati ven’anni.
NINO STRANO. Ma ‘altra è in fieri!
PRESIDENTE. Non essendovi altri interventi, ringrazio ancora ‘avvocato Marino per la sua esposizione. Saremo lieti di acquisire eventuali documenti o relazioni scritte ai fini di un maggior approfondimento nel nostro lavoro.
Dichiaro conclusa ‘audizione.
La seduta termina alle 10.
E' di oggi la notizia che a Milano un'assicurazione ha risarcito il danno patrimoniale alla convivente di una donna morta per un errore nelle cure mediche.
Le avvocatesse Laura Granata ed Elisabetta Arrigoni, che hanno seguito il caso, informano che l'assicurazione dell'ospedale ha pagato il risarcimento dovuto alla responsabilità del medico, riconoscendo alla superstite, a fronte della semplice presentazione della documentazione di convivenza.
Le due donne non avevano alcun titolo neppure contratto all'estero, in quanto in Italia non esiste una legge che riconosca diritti e doveri alle coppie. L'assicurazione ha deciso che si trattava comunque di una comunione morale e patrimoniale, ritenuta come essenziale per considerare due persone come prossimi congiunti meritevoli del risarcimento.
Aurelio Mancuso
Presidente nazionale Arcigay
2010
STEFANO RODOTA' SUI MATRIMONI GAY
L'IDEA E' QUELLA DI PERMETTERE A GAY E LESBICHE DI ESSERE SEPOLTI ACCANTO AD ALTRE PERSONE GLBT "COME UNA COMUNITA'". COME ACCADE ALLE FAMIGLIE ETERO SPIEGA IL GESTORE DEL CIMITERO
I gestori del Crest Lawn Memorial Park, che si trova al centro di Atlanta, hanno deciso di ritagliare una parte dell'area da destinare ai gay e alle lesbiche che vogliono essere sepolti accanto ad altri gay e altre lesbiche. Pensiamo che sia una buona idea perchè riguarda il senso della comunità ,di collegamento e perchè è una tradizione ha dichiarato Jason Suggs. Non è ancora chiaro in cosa la sezione del cimitero destinata alle persone glbt sarà davvero diversa dal resto. Secondo Suggs, permettere ai gay e alle lesbiche di essere seppelliti insieme equivale al consentire agli etero di essere seppelliti con la propria famiglia. Non è la prima volta che qualcuno decide di dedicare una zona di un cimitero ai defunti glbt. Una cosa simile è gia' successa nel 2008 in Danimarca.
Gay.it 6 aprile 2011
Ricerca. Relazioni omosessuali verso la monogamia aperta?
Written by Redazione Costume e società apr 6, 2011
Da uno studio condotto dalla San Francisco State University emerge quanto siano comuni le relazioni aperte tra coppie delle stesso sesso.
San Fransisco ospita una delle comunità gay più importanti al mondo e proprio qui è stato condotto uno studio, della durata di tre anni, su come 556 coppie gay strutturano il loro rapporto. La documentazione prodotta dai ricercatori Colleen Hoff e Sean Beougher della UCSF ha poi rivelato che il 50% delle coppie pratica sesso extraconiugale senza nascondere nulla al proprio partner.
"Nelle coppie eterosessuali, questo viene chiamata tresca o tradimento", uno degli intervistati, Dean Allemang, 50 anni consulente tecnologico dell’Oakland, sostiene serafico:" Credo sia abbastanza naturale per gli uomini continuare a volere una vita sessuale attiva e varia, io non possiedo il mio amante, né il suo corpo…"
Così ammette Colleen Hoff. Le chiamano le relazioni di San Francisco, definizione, coniata dalla comunità gay del posto che sta a indicare una duratura coppia di uomini che ha incontri sessuali extraconiugali. La ricerca condotta ha fatto emergere che questo tipo di concezione della vita di coppia è molto più diffusa e normale di quanto si pensasse, solo che non se ne parlava.
Una relazione non monogama, può quindi non avere alcuna accezione negativa. Infatti, tre persone su quattro descrivono la relazione aperta come una cosa assolutamente positiva che permette di soddisfare il proprio impulso sessuale pur senza mentire al proprio partner e nel pieno rispetto della coppia.
Sta di fatto che, come nelle relazioni monogame, anche in quelle aperte esistono delle regole accettate da entrambi i partner, regole molto importanti che, se infrante, possono ledere seriamente la stabilità della coppia. Gli accordi, riguardo la libertà sessuale all’interno di una coppia possono riguardare il dove, quando, con chi e quante volte.
Non bisogna dimenticare che nell’ambito degli accordi coniugali delle coppie gay non monogame, le regole poste sono volte a limitare la trasmissione di malattie quali l’HIV. Come afferma la stessa Hoff:
"[...] la rottura degli accordi sessuali o se qualcuno non è chiaro con il proprio partner, può rendere entrambi vulnerabili alla contrazione dell’HIV [...] senza un consenso comune, mentre un partner potrebbe essere coinvolto in un comportamento rischioso al di fuori della relazione di coppia, l’altro potrebbe essere inconsapevole del conseguente rischio [...]".
Uno studio inglese del 2010, "Monogamia gay: ti amo ma non posso fare sesso solo con te", ha riscontrato che nessuna delle coppie intervistate definiva la monogamia come esclusività sessuale. Infatti anche se dichiaravano di essere monogami, tutti avevano rapporti extraconiugali. Ciò che è emerso da questo studio è che la fedeltà è intesa a livello emotivo e, più precisamente, andare con un’altra persona, fintanto che si è attratti solo fisicamente, non significa tradire. (diredonna.it)
2012
2015
1993
proposta di legge sulle coppie gay
presentata in un
convegno alla Casa della cultura organizzato dall' ARCI GAY
------------------------- PUBBLICATO
------------------------------ Presentata in un convegno alla Casa della
cultura TITOLO: Proposta di legge sulle coppie gay - - - - - - - - - - - - - -
- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - Continua il dibattito tra i gay sul
riconoscimento legale delle coppie omosessuali. Dopo la clamorosa celebrazione
di una decina di matrimoni simbolici, "officiati" lo scorso anno in
piazza della Scala dall' allora consigliere comunale Paolo Hutter, l' Arci gay
ha organizzato ieri alla Casa della cultura di via Borgogna un convegno per
presentare una proposta di legge sul tema. Una prima proposta era gia' stata
preparata all' indomani della manifestazione milanese. Oltre a Franco Grillini,
leader degli omosessuali italiani, era presente Bent Hampton, presidente della
piu' importante associazione omosessuale della Danimarca, primo Paese ad aver
adottato una legge che sancisce il diritto dei gay e delle lesbiche a vedere
riconosciute legalmente le loro unioni. Durante l' incontro sono emerse due
differenti correnti di pensiero. Da una parte quelli che auspicano un generale
riconoscimento legale delle convivenze, siano etero od omosessuali, e dall'
altra chi invece punta a una specifica legalizzazione delle coppie gay. Diversa
anche la valutazione sulla necessita' o meno della convivenza per ottenere un
riconoscimento civile. La proposta di legge dovrebbe approdare in Parlamento
nei prossimi mesi e gia' i responsabili dell' Arci gay, attraverso una serie di
sondaggi, stanno studiando come vincere le resistenze di certi settori della
societa' . Paolo Hutter, intanto, propone che le amministrazioni comunali
anticipino la legge con la realizzazione immediata di un "registro
provvisorio per le coppie gaie". Un primo passo verso la definitiva
ufficializzazione. Sottolineando che dal 1989 a oggi in Danimarca oltre 2400 persone
hanno usufruito della legge sul riconoscimento delle coppie gay, Bent Hampton
ha spiegato come nel suo Paese sia oggi di grande attualita' anche il dibattito
sull' introduzione di una legge per l' adozione di bambini da parte di coppie
omosessuali.
Pagina 39
(30 maggio 1993) - Corriere della Sera
(30 maggio 1993) - Corriere della Sera
1994
Anche da noi il matrimonio tra "omo" sarà legale
IO VI DICHIARO MARITO E MARITO
A Roma un registro per le unioni civili. E poi case popolari, tutela sul lavoro, adozione di figli..I gay stanno conquistanto parità di diritti. Anche grazie al Parlamento Europeo.
di Claudio Lazzaro
Via Ostiense 202, Roma. Pochi chilometri dal cupolone di San Pietro. E' qui, nella città del Papa, che si sta compiendo la rivoluzione gay. In questi uffici adibiti da tempo a consultorio per l'aids lavora Vanni Piccolo, preside della scuola media "Camilla Ravera", nella borgata Castelverde, nonché delegato comunale per le questioni omosessuali. Grazie all'impegno del professor Piccolo e del sindaco Francesco Rutelli, presto i gay a Roma potranno sposarsi. O, meglio, il Comune riconocerà nello stato civile le loro convivenze, in un apposito registro che solo due comuni d'Italia, finore, avevano avuto il coraggio di creare: Cogoleto (provincia di Genova) ed Empoli (provincia di Firenze). "Sì, è una rivoluzione nel costume" ammette soddisfatto il preside Piccolo. E racconta "A Rutelli avevamo chiesto un incontro durante la campagna elettorale. Lui ci mostrò subito molto interesse, molta disponibilità. Ma il bello è che adesso sta mantenendo le promesse!".
Ma la carica esplosiva della decisione di Rutelli va ben oltre la capitale. Sì perchè galvanizzati dalla vittoria romana, gli esponenti omosessuali hanno capito che è il momento di chiedere di più a livello nazionale, soprattutto in vista delle elezioni del 27 marzo. Sicché Franco Grillini, il leader dell'Arcigay, ha indirizzato a tutti gli esponenti del tavolo progressista un pacchetto di richieste da trasformare in legge, come il riconoscimento formale dei matrimoni civili, e un considerevole aumento dei fondi per la lotta all'aids. Finora, impegnati nelle difficili trattative pre-elettorali, le sinistre non hanno dato risposta, ma la comunità omosessuale italiana è in ottimistica attesa: come in America, ormai costituisce una lobby che può donare o negare voti decisivi ai candidati nei collegi uninominali. Da Roma all'Italia, dall'Italia all'Europa: la battaglia dei gay sembra in questi giorni vincente anche al Parlamento di Strasburgo, che ha appena approvato una risoluzione per far gradualmente sparire, in tutti gli Stai della Ue, ogni distinzione di fronte alla legge fondata sull'orientamento sessuale. Il che, tradotto, significa: tutti i Paesi europei dovranno con tempo riconoscere alle coppie gay la possibilità di sposarsi, adottare bambini, e godere di tutti i diritti delle famiglie normali.
Una votazione, quella di Strasburgo, che ha visto la dura opposizione del gruppo democristiano e che ha fatto felici gli attivisti del movimento gay: " E' perfino più di quanto speravamo", commenta il consigliere comunale milanese Paolo Hutter, decano delle battaglie omosessuali (ha celebrato, tra l'altro, un matrimonio "multiplo" tra dieci coppie "gay"in Piazza Scala).
"In pratica il Parlamento europeo ha stabilito che una coppia gay debba essere equiparata in tutto e per tutto a una coppia etero". Indipendente nelle liste del Pds, Hutter fa capire che si batterà perchè l'Italia sia il primo Paese a recepire la risoluzione approvata a Strasburgo. Insomma, la seconda metà degli anni Novanta vedrà il processo di emancipazione gay passare dai cortei ai riconoscimenti formali, dal folclore alle proposte di legge. E la Seconda Repubblica italiana potrebbe diventare, se vinceranno le sinistre, il laboratorio di questa piccola rivoluzione libertaria.
"Ma una volta raggiunti i nostri obiettivi, frena Vanni Piccolo, la situazione non cambierà, se non riusciremo a trovare il coraggio di uscire alla luce del sole. Se ti presenti per quello che sei, in modo chiaro, la gente è disarmata. E' questo l'unico modo per togliere alla società il piacere di stanarti, il gusto sadico della caccia al diverso". Giovanni Dall'Orto, autore di Manuale per coppie diverse, appena pubblicato dagli Editori Riuniti, sostiene che in Italia ancora oggi, nonostante la tutela sindacale, molti omosessuali vengono licenziati soltanto perchè tali. "Il datore di lavoro non deve nemmeno cacciarli", spiega Dall'Orto, "altrimenti il pretore li reintegrerebbe". Per liberarsi di un lavoratore omosessuale basta ricattarlo. Se non te ne vai, io faccio circolare in tutto il paese la voce che sei un frocio. Ed è fatta". Ma è proprio nel campo sindacale che gli omosessuali italiani hanno dissotterrato l'ascia di guerra. Massimo Mariotti, giovane bancario milanese, responsabile delle politiche omosessuali per la Cgil, ha suscitato scalpore rivendicando il diritto alla luna di miele gay, "Io non ho fatto altro ch chiedere l'estensione del congedo matrimoniale alle coppie, di qualsiasi genere, che decidono di affrontare la convivenza", spiega Mariotti. "Si tratta di riconoscere alle famiglie di fatto, etero o gay, tutte le agevolazioni previste dai contratti di lavoro". Mariotti è riuscito a inserire queto punto nelle piattaforme nazionali di ben quattro contratti: credito, assicurazioni, metalmeccanici e chimici. Ma è ancora più orgoglioso di essere riuscito a far discutere sindacati e datori di lavoro su un altro punto fondamentale. "Vogliamo estendere ai gay la legge sulle pari opportunità tra uomini e donne, soprattutto dove stabilisce che dev'essere il datore di lavoro a dimostrare che non c'è stata discriminazione sessuale". Questo principio, cioè l'inversione dell'onere di prova, è nato per garantire le lavoratrici che in fabbrica, dopo aver subito una discrimninazione sessuale, non riuscivano a trovare chi testimoniasse in loro favore. Ma è giusto mettere un maschio omosessuale sullo stesso piano di una donna, in materia di molestie sessuali e discriminazioni? Sì, secondo una sentenza su cui la Corte costituzionale è stata chiamata a deliberare. A Milano, nella toilette di una pizzeria, due giovani agenti di polizia hanno raggiunto, al termine di un pedinamento, un grazioso omosessuale. Poi hanno bloccato la porta, lo hanno obbligato ad una duplice fellatio e hanno tentato, senza riuscirci, di sodomizzarlo. Ricoverato in ospedale il malcapitato ha trovato il coraggio di sporgere denuncia. Ora la Corte deve decidere se l'articolo 523 del Codice Penale (atto a fine di libidine) sia applicabile anche quando è un uomo a subire la violenza.
La violenza contro gli omosessuali è diffusissima e sommersa, dice Davide Barba, docente di filosofia del diritto all'Università di Napoli che, assieme a un gruppo di giuristi napoletani, ha scritto un Manuale di Autodifesa pubblicato dall'Arci, "Sono violenze che non vengono denunciate, per paura di esporsi come omosessuale. Dichiararsi qui a Napoli, può volere dire perdere anche l'ulitmo straccio di lavoro". E il professor Barba racconta di un ragazzo, un lavapiatti abusivo, che pochi giorni fa è stato licenziato: "Perchè se poi ti tagli, ci contagi con l'Aids tutti quanti, gli hanno detto".
Eppure anche a Napoli il vento sta cambiando due settimane fa il Consiglio comunale ha approvato con la sola astensione del Movimento Sociale, l'istituzione di un osservatorio sulle violenze a sfondo razzista e sessuale, che verrà utilizzato anche dagli omosessuali. Un altro colpo di piccone al vecchio muro, Come gli ordini del giorno con cui i Comuni di Bologna, Milano e Genova hanno interpretato la legge sull'assegnazione delle case popolari, estendendo il diritto alle coppie omosessuali. Un diritto più formale che sostanziale dal momento che i punteggi favoriscono le famiglie numerose, ma che ha scatenato la bagarre negli ambienti della destra clericale. Per non parlare delal Lega Nord celodurista che, nel dibattito al Comune di Milano, accecata dall'odio per i gay, non si è accorta che alla fine, nell'assegnazione dei punteggi, ha vinto lo straniero (15 punti se sei un extracomunitario, soltanto 5 se sei un milanese).
A le obiezioni alle nuove conquiste degli omosessuali sul piano dei diritti civili non vengono soltanto da ambienti retrivi. Il sociologo Sabino Acquaviva ha recentemente criticato la rivoluzionaria direttiva del Parlamento Europeo sostenendo che un bambino adottato da una famiglia gay non avrebbe, sul piano psicologico e sociale, le stesse opportunità di un bambino allevato in una famiglia classica. Gli mancherebbe il modello "maschio-più-femmina" e verrebbe traumatizzato a scuola dagli schermi degli altri bambini. A proposito della possibilità rivendicata da donne singole, a volte lesbiche, di crescere un bambino, altri hanno fatto notare che in America la causa principale di violenza è proprio la famiglia disgregata, in cui un genitore, quasi sempre la madre separata , si trova da solo ad allevare i figli. Argomentazioni che vengono smontate da Brett Shapiro, giornalista americano residente a Roma, autore di un libro sulla storia del suo amore col giornalista Giovanni Forti, L'intruso, pubblicato lo scorso settembre da Feltrinelli. Shapiro cinque anni fa in Texas, pur essendo singolo e gay, ha potuto adottare un bambino mezzosangue. Shapiro ora vive con un nuovo compagno che, a sua volta, ha in adozione un figlio oramai quindicenne. Una famiglia che sembra la perfetta attuazione della "scandalosa" direttiva della Ue.
Rimane aperta la domanda: è realistica la prospettiva aperta dal Sindaco di Roma e dal Parlamento europeo? I gay sapranno rinunciare alle abitudini pericolose (come il sesso con sconosciuti, indiscriminato e suicida, nelle dark room), per trasformarsi in buone madri e padri di famiglia? Giovanni Dall'Orto, che vive da dodici anni felicemente con lo stesso compagno, è sicuro di sì: "Gli omosessuali vanno contro corrente. Proprio nel momento in cui la vecchia famiglia classica eterosessuale si avvita e precipita, noi convergiamo verso la famiglia nuova, più solida quanto più aperta e variegata".
Qualche riserva giunge invece dal campo lesbico: "Come donna, quando sento parlare di famiglia mi spavento", dice Deborah Di Cave, vice presidente del circolo culturale Mario Mieli di Roma, "Credo che dovremmo rimettere in discussione il concetto di famiglia basato su due persone che si amano. Non c'è bisogno del vincolo sentimentale perchè due individui, alleati nella vita, chiedano il diritto a ereditare e alla reversibilità della pensione, agli alimenti, all'assegnazione di una casa". La tesi futuribile espressa da Deborah Di Cave complica ulteriormente il quadro della situazone e ripropone l'interrogativo che Claire Bretecher, la gratificante disegnatrice satirica francese, metteva in bocca a uno dei suoi personaggi:" L'uomo nuovo sarà un omosessuale convertito, o una lesbica mancata?".
Europeo 23 febbraio 1994
2005
Cacciari: nessuno
pretenda di dire che un amore è soltanto un
capriccio da "Marcello Pera ha perso un'ottima occasione per tacere. Perchè si può discutere sull'opportunità di varare leggi di tale impatto emotivo senza un adeguato dibattito. Ma è intollerabile tacciare di pura concupiscenza una coppia gay che vuole sposarsi, o parlare di un capriccio. E' fondamentalismo." Massimo Cacciari, filosofo e sindaco di Venezia, interviene ai microfoni della web radio di Repubblica: attacca il presidente del Senato, ma critica anche il governo Zapatero. "Ognuno di noi è libero di giudicare una legge o un atteggiamento, così come un libro. Ma come si può pretendere di entrare nel merito di un comportamento che riguarda il cuore di una persona? Come si fa a dire se è capriccio o amore profondo?" Tuttavia, secondo lei, modo graduale ai matrimoni gay? "Certo. Non sono questioni da risolvere a colpi di legge. Devono essere il prodotto di una lunga maturazione. Sono temi che arrivano a sconvolgere costume e tradizioni secolari, quindi non possono essere affrontati con colpi di teatro. Io al posto di Zapatero mi sarei comportato diversamente". Alcuni manifestano una perplessità: perchè i gay, per affermare i loro diritti, spesso esibiscono in maniera plateale la loro diversità? "Perchè devono riuscire a spezzare la tradizione. E' naturale che un movimento con questo obiettivo appaia sgraziato. Può dispiacerci, ma dobbiamo riconoscere realisticamente che i movimenti di rottura sono così e sono sempre stati così. Alla nascita siamo bruttini. Tutti". (l.p.) |
Audizione
dell’avvocato Marina Marino, presidente dell’Associazione nazionale avvocati
matrimonialisti
6 ottobre 2005 ·
CAMERA DEI DEPUTATI – XIV LEGISLATURA
Resoconto stenografico della II Commissione permanente (Giustizia)
Seduta del 22 giugno 2005
Indagine conoscitiva sulle tematiche riguardanti le unioni di fatto ed il patto civile di solidarietà.
Audizione del’avvocato Marina Marino, presidente del’Associazione nazionale avvocati matrimonialisti.
(Fonte: www.parlamento.it)
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PIER PAOLO CENTO
La seduta comincia alle 9,10.
PRESIDENTE. ‘ordine del giorno reca, nel’ambito del’indagine conoscitiva sulle tematiche riguardanti le unioni di fatto ed il patto civile di solidarietà, ‘audizione del’avvocato Marina Marino, presidente del’Associazione nazionale avvocati matrimonialisti.
Ringrazio ‘avvocato Marino per la sua presenza in questa Commissione e le do subito la parola per la sua esposizione.
MARINA MARINO, Presidente del’Associazione nazionale avvocati matrimonialisti. La giurisprudenza ha tentato più volte di affrontare il tema in esame ma senza grandi risultati, salvo alcune affermazioni di principio importanti indicate dalla Cassazione fin dal 1993. Quindi, salutiamo con grande soddisfazione il fatto che il nostro legislatore si stia occupando di un tema che più volte è finito nelle aule di giustizia senza riuscire a trovare alcun esito al di là di affermazioni di principio come quella espressa dalla Cassazione nel 1993.
Oggi si assiste a un tentativo di regolamentazione attraverso numerosi progetti che sono stati presentati, dopo che anche ‘Unione europea ha espresso alcune raccomandazioni (che in molti Stati sono già state accolte) riguardanti la necessità di dare garanzie e regolamentazione al tema in esame.
Le modalità con cui può essere affrontata questa materia sono sostanzialmente due (si ritrovano anche nei diversi progetti pendenti in Parlamento). Si tratta, da un lato, di regolamentare le unioni per il solo fatto che esistono, quindi, ribaltando le norme che riguardano il matrimonio, intervenendo in favore delle unioni di fatto, dal’altro, di approntare progetti di legge che abbiano come obiettivo quello di riconoscere un patto di civile convivenza tra persone che decidono di vivere insieme.
Il problema di maggiore difficoltà rimane, comunque, quello relativo alle coppie omosessuali, per le quali, però, va ricordato che esiste una raccomandazione del’Europa precisa e chiara al riguardo.
Vorrei ora fare un richiamo alle discriminazioni che esistono tra i figli cosiddetti legittimi e quelli naturali. Innanzitutto, ritengo che sarebbe ora di abolire le differenze che ancora esistono, al di là di quanto si crede, fra queste due figure o tipologie di figli; si tratta della differenza caratterizzata dal’aggettivazione accanto alla parola «figlio». Infatti, tale semplice aggettivazione – figlio «legittimo» o «naturale» – è già, di per sé, una discriminazione contro la quale è necessario battersi. Quindi, inizierei con il domandare al legislatore che questa aggettivazione venga eliminata perché ciò si traduce in una discriminazione di fatto.
Per quanto riguarda ‘associazione che rappresento (salvo, poi, un ulteriore esame delle norme al vaglio del Parlamento) la nostra scelta va verso quel’istituto che, in Francia, è dominato PACS, cioè, un patto di solidarietà civile (così come si rinviene in alcuni progetti presentati). Seguiamo, quindi, una scelta di intervento secondo ‘individuazione di garanzie che debbono darsi sia per le coppie, sia, soprattutto, per i figli.
Ritengo sia ora necessario sottolineare alcuni problemi che mi preme richiamare alla vostra attenzione. Si tratta della necessità e possibilità di chiarire un fatto che si ritrova in modo abbastanza uniforme in tutti i provvedimenti, per cui è necessario intervenire in modo specifico, al di là degli aspetti relativi ai figli cui ho appena accennato.
Si tratta del problema relativo alle successioni (il nostro lavoro ci porta a verificare quali sono gli aspetti che maggiormente colpiscono i cittadini), della necessità di stare vicino al convivente in caso di malattia grave e, da ultimo, del problema relativo ai beni patrimoniali. In particolare, con riferimento a ques’ultimo, basti pensare alla possibilità, data ai soli figli legittimi, di liquidare la parte di patrimonio dei loro fratelli o sorelle «naturali» in caso di successione (in pratica, la volontà dei primi di procedere alla messa in liquidazione di uno o più beni prevale su quella dei secondi di opporsi.)
A questo punto, è utile ricordare che nel 1993 la Cassazione ha considerato come legittimi gli accordi tra conviventi in previsione della cessazione della convivenza (mi viene in mente che la Cassazione, per quello che riguarda i coniugi, ha poi sempre negato la possibilità degli accordi in previsione del divorzio ma questo è un altro discorso).
Ciò sta a significare che, da sempre, la cultura giuridica riconosce la possibilità ai cittadini di regolamentare i propri rapporti tramite accordi. Ciò premesso, il PACS è, secondo noi, lo strumento con cui si consente, intanto, una conoscenza diretta ai cittadini di questa situazione nel senso che troviamo assurdo il fatto che, ad oggi, il nostro paese riconosca la convivenza sotto il profilo legislativo soltanto in u’occasione, cioè, quando si tratta di effettuare delle visite a un detenuto da parte del convivente. È un caso abbastanza singolare perché il legislatore sembra essersi preoccupato di riconoscere la convivenza soltanto sotto questo aspetto che ho appena ricordato, il che fa sorridere (forse, pensava che i conviventi sarebbero stati quelli più soggetti a provvedimenti restrittivi della libertà; altrimenti, non si spiega perché non si è mai occupato della questione in altre occasioni).
Di questo aspetto, si è occupata la Corte costituzionale, in una sentenza del 1988, quando ha dichiarato ‘illegittimità di una norma che impediva la prosecuzione del contratto di locazione in capo al convivente. Addirittura, fino a quel momento, sempre a proposto di discriminazione nei confronti dei figli, neppure i figli naturali avevano il diritto di succedere nel contratto.
Mi pare che nei progetti al vostro esame venga fatta giustizia di tutta questa situazione, ma ribadiamo che ‘aspetto al quale teniamo particolarmente riguarda ‘eliminazione delle discriminazioni sotto ogni profilo nei confronti dei figli.
Le prime volte che ho parlato di discriminazione nei confronti dei figli mi sono sentita aggredita da coloro che rivendicavano il fatto che la legge sul diritto di famiglia le aveva abolite tutte. Ora, la legge sul diritto di famiglia è, a mio giudizio, una delle più belle leggi che siano state fatte dal nostro legislatore. Essa ha dei meriti enormi, come quello di aver adeguato alla Costituzione le norme che riguardano i rapporti familiari: sicuramente, però, non ha abolito tutte le discriminazioni. Tale legge ha contribuito a fare un primo passo in avanti, nel senso che non è stato più consentito parlare di figli illegittimi (questa, mi pare già una grande conquista). Ora, però, è necessario fare un successivo passo. Non si può più discriminare tra figli specificando con aggettivi qualificativi la loro posizione.
Tra le proposte in discussione, sono interessanti quelle che riguardano il riconoscimento del’esistenza di una convivenza che, per scelta delle persone, viene portata davanti al sindaco per essere riconosciuta secondo modalità che, alcune volte, sono predeterminate da norme le quali potrebbero essere anche di dettaglio. Come associazione, intendiamo impegnarci per far sì che le persone sappiano che, in determinate questioni, è possibile regolare i propri rapporti in maniera ulteriore rispetto a quanto stabilito dalle norme. Le norme devono infatti offrire un minimo di base comune a tutti ma poi, se i cittadini intendono compiere determinate scelte, ciò deve essere loro consentito. Per esempio, se in caso di successione, per una scelta che può essere condivisibile o meno, oggi non è previsto il pagamento di imposte, tali imposte non devono esistere più neanche tra i conviventi e nei confronti dei figli di questi ultimi.
Infine, un ulteriore problema che vorrei segnalare attiene alla necessità di prestare una particolare attenzione rispetto alle modalità di interruzione della convivenza. Ritengo che si debba operare una sorta di separazione dei conviventi. È necessario, però, chiarire questo punto. La scelta di cessare la convivenza può essere unilaterale (ho visto che sono previste varie modalità nei diversi progetti di legge); tuttavia, mi interessa ribadire la necessità che per tutte queste vicende (anche nel’ipotesi di un contrasto fra le due parti in ordine al’esecuzione dei vari impegni e obblighi reciproci discendenti dal rapporto) si faccia riferimento, comunque, alla giustizia ordinaria per il rispetto e ‘applicazione delle norme previste.
Sottolineo questo punto non tanto perché siamo preoccupati nello specifico ma per un atteggiamento generale di sottrazione alla giurisdizione di temi che sono tipici della stessa. Non possiamo declassare, come si è fatto per molti anni nei confronti dei minorenni, i diritti dei cittadini, la cui composizione, ove ci siano dei contrasti, deve avvenire nei tribunali.
‘è, invece, un tentativo di declassamento di questi diritti a meri interessi, quindi, ad una amministrativizzazione della situazione. Ciò non è ammissibile, né condivisibile perché i cittadini hanno il diritto di vedere decise le loro questioni da un tribunale con le garanzie del diritto di difesa e quan’altro.
PRESIDENTE. Ringrazio ‘avvocato Marino per la sua esposizione. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire.
GIULIANO PISAPIA. È stata richiamata la sentenza della Cassazione del 1993; mi domando se sul riconoscimento di un accordo tra i conviventi, nel rispetto di un patto – di un contratto – tra essi, in caso di separazione ci sia una giurisprudenza di merito. Ci sono dei contrasti su questo tema?
MARINA MARINO, Presidente del’Associazione nazionale avvocati matrimonialisti. Ce ne sono parecchi!
GIULIANO PISAPIA. Sì, ma vanno nel senso di questo indirizzo?
MARINA MARINO, Presidente del’Associazione nazionale avvocati matrimonialisti. La sentenza della Cassazione è importante perché è una delle poche che è riuscita ad affrontare la questione in questi termini. Infatti, i tentativi di proporre tali questioni, per lo più, non hanno consentito questa scelta perché il più delle volte sono stati presentati ricorsi in materia di lavoro, presi, a mio giudizio, da un capo sbagliato. Sono state presentate una serie di cause di lavoro nelle quali, in genere, un convivente faceva causa al’altro per ‘attività espletata negli anni della convivenza. Ciò non è condivisibile: sotto il profilo del principio è totalmente inaccettabile presentare la convivente come una sorta di cameriera non pagata. Comunque, se la giurisprudenza al riguardo è stata negativa, ci sono dei casi in cui il problema è stato posto sia al tribunale ordinario, con una richiesta di applicazione in via analogica delle norme relative al mantenimento e alla separazione (ma queste sono state dichiarate inapplicabili), sia sotto il profilo appena ricordato, che era particolarmente sbagliato.
Quella sentenza della Cassazione cui ho fatto riferimento, parte, invece, da una causa iniziata sulla base di un accordo stretto tra i conviventi al momento del’avvio della convivenza. Si trattava di una sorta di accordo prematrimoniale – di preconvivenza – che doveva trovare applicazione laddove la convivenza fosse venuta meno. La Cassazione ha ritenuto la liceità, la legittimità e la validità di tutti quegli accordi, che prevedevano, tra ‘altro, per esempio, la costituzione di un comodato del’immobile in cui i conviventi vivevano a favore di uno dei due.
Quindi, questa sentenza della Cassazione ‘è stata – è una delle poche – perché, innanzitutto, è estremamente difficile che i conviventi stipulino prima del’inizio della convivenza un accordo. Se, infatti, i conviventi facessero ciò, sarebbe lasciata alla loro capacità di accordo e alla loro volontà di tutelare o meno (a seconda della forza dei contraenti al momento della convivenza) una certa situazione ogni passaggio futuro. Comunque, un accordo di tal guisa, sarebbe tuttora ritenuto valido dalla Cassazione perché ‘orientamento della Corte in proposito non è cambiato.
GIULIANO PISAPIA. Secondo me, ciò che è avvenuto dopo il 1993 dimostra la necessità di intervenire in questo campo perché si ha già una giurisprudenza che ha preceduto il legislatore.
‘altro aspetto che è stato sottolineato e su cui mi interessa ricevere un ulteriore commento di approfondimento riguarda una delle obiezioni che viene mossa rispetto a una situazione che noi consideriamo ingiusta; nel caso di assistenza al malato o di decisioni in sua vece quando questi non sia più in grado di farlo, viene privilegiato il familiare o il figlio legittimo. Anche nel corso di una precedente audizione, secondo la testimonianza di uno degli auditi, si ribadiva il concetto per cui molti trovano assurdo il fatto che la volontà del convivente possa prevalere su quella del figlio legittimo, rispetto a scelte che potrebbero riguardare la sopravvivenza o meno del malato.
Sotto questo profilo, che tipo di riflessione ‘è stata? Esiste una soluzione che può essere equilibrata e contemperare le due esigenze?
MARINA MARINO, Presidente del’Associazione nazionale avvocati matrimonialisti. Ritengo che non sia possibile operare, rispetto a questo tipo di situazioni, una graduazione tra soggetti che abbiano a dire sulla terapia da seguire, sulle scelte terapeutiche o sulla semplice visita. Vi sono situazioni non infrequenti nelle quali al momento della malattia di uno dei conviventi – ovviamente, mi riferisco a malattie gravi – il convivente, per ‘opposizione della famiglia di origine del’altro, non riesce neppure ad arrivare a parlare con i medici in ospedale, perché magari questi si rifiutano di parlare o dare comunicazione al convivente. Questo fatto mi pare veramente inaccettabile: si tratta di una graduazione di sentimenti per cui sarebbe migliore e più tutelabile il sentimento del figlio piuttosto che quello del convivente.
Quindi, mi rendo conto che è una situazione di difficile soluzione; tuttavia, sotto il profilo tecnico-giuridico non vedo come possa essere riconosciuta al’uno piuttosto che al’altro una possibilità di esclusione.
Un tema sicuramente più difficile attiene alle scelte terapeutiche. Ciò che, comunque, ritengo inaccettabile è la possibilità che ‘uno o ‘altro convivente possa escludere dalla vicinanza e dalla assistenza della persona malata il figlio o chicchessia. Questo è un principio umanitario minimo e non ‘è alcuna norma di diritto che consenta di fare una scelta di questo tipo!
Un argomento più difficile è invece quello della scelta terapeutica che, a mio personale giudizio, è risolvibile soltanto con il testamento biologico delle persone. Tra ‘altro, spesso e volentieri non siamo di fronte a situazioni di incapacità. Ci sono anche queste ma si tratta di altre questioni.
In questo ambito, va quanto meno chiarita la necessità di impedire che vengano compiute delle azioni di esclusione da parte di alcuni perché non ‘è alcuna norma che consente ciò; sarebbe contrario ad ogni minimo sentimento civile.
FRANCO GRILLINI. Sono particolarmente interessato da ciò che avviene dentro le aule dei tribunali perché quello della convivenza è ormai un fenomeno di massa, come dimostrano i dati ISTAT, peraltro, assolutamente imprecisi. A questo proposito, ricordo che ho presentato u’interrogazione parlamentare sulle modalità di raccolta di questi dati in occasione del censimento, ma la risposta del sottosegretario Ventucci mi ha lasciato totalmente insoddisfatto. Nel censimento, infatti, sono stati dichiarati incongrui e pertanto non utilizzabili i dati relativi alle coppie dello stesso sesso.
Tuttavia, nonostante le modalità dubbie di rilevazione del fenomeno della convivenza nel nostro paese, sta di fatto che persino secondo ‘ISTAT si tratta di un fatto in netta crescita che coinvolge ormai alcuni milioni di persone. Ciò si riflette anche nel’attività dei tribunali (non a caso nelle relazioni introduttive, al’apertura degli anni giudiziari, molti interventi sottolineano che il legislatore dovrebbe intervenire su questa materia).
Le vertenze nei tribunali sono ormai moltissime, sui più disparati argomenti. Alcune sono state da lei citate; altre sono relative a questioni molto serie, come quella della casa, non completamente risolta dalla sentenza della Corte costituzionale del 1988. Con tale sentenza, infatti, non si interviene sulla proprietà, per cui qualora il deceduto sia il proprietario della casa, il convivente che vi abita non può più vantare alcun titolo per continuare a vivere in quel’abitazione. Ci sono stati casi, anche illustri, di persone che hanno dovuto lasciare la casa immediatamente dopo il decesso della persona, con le conseguenze che vi lascio solo immaginare, posto che al danno della morte del convivente si aggiungeva anche quello di uno sfratto forzoso. Addirittura, in qualche caso, i parenti hanno chiesto anche ‘intervento della Forza pubblica. Quindi, non ci sono solo i processi relativi alla convivenza.
Il caso che poi si verifica più frequentemente, soprattutto a fronte di rapporti eterosessuali, è quello per cui un uomo si trova una donna più giovane sbattendo fuori di casa la compagna. Sul piano dei numeri questa è la fattispecie che si verifica più spesso. In tali casi, la povera convivente non può vantare alcun diritto e si vede così costretta ad aprire una vertenza di lavoro: ‘unico escamotage possibile.
Sono ‘accordo sul fatto che tale soluzione, in casi del genere, non ‘entra nulla ed è umiliante per la persona che la utilizza (non è umiliante farsi passare per una cameriera ma dovere rivendicare i propri diritti secondo questa modalità); rimane tuttavia ‘unico mezzo per rivendicare i propri diritti e, magari, la proprietà dei beni mobili e immobili che, spesso, per ragioni note di distribuzione del potere al’interno della coppia (sempre a favore del’elemento maschile), si fa risalire al’uomo. Quando poi la convivenza finisce, sorgono i problemi di divisione del patrimonio comune (magari è il caso di u’azienda costruita insieme) e dei beni mobili, che hanno un forte valore affettivo.
Da quello che mi risulta ci sono molte vertenze relative ai beni mobili. Ho visto alcuni casi drammatici dove il convivente ha dovuto dimostrare fatture alla mano, anche delle suppellettili, degli elettrodomestici. Da questo punto di vista in molte situazioni non sono stati riconosciuti neanche i patti di convivenza stipulati presso degli studi notarili, che danno questa possibilità pur premettendo che il loro valore legale è dubbio.
Uno degli elementi di polemica su questo terreno con chi non è ‘accordo sul’introduzione di una normativa simile a quella denominata PACS è che la nostra legislazione e la nostra giurisprudenza riconoscerebbero già questi diritti per cui non ci sarebbe alcun bisogno di una legge. Ovviamente, credo si tratti di un errore, in qualche caso persino di malafede, perché il nostro ordinamento non riconosce la validità degli accordi di convivenza, che servono più per le persone che li stipulano, come regolazione interna alla coppia, che come tutela legale. Un tentativo per attribuire valore legale ai patti di convivenza fu fatto dal’allora ministro Bellillo, ma non riuscì neanche ad arrivare al’approvazione in Consiglio dei ministri, senza ricordare poi gli altri tentativi non andati in porto.
Noi siamo di fronte ad una «vertenzialità» diffusa; probabilmente sarebbe utile che la Commissione studiasse questo aspetto, perché spesso e volentieri si parla di coppie di fatto, ma si ignora che vi sono mille storie riguardanti tali coppie, con situazioni molto dolorose, al limite della crudeltà.
Nella sua esperienza professionale quali sono le questioni che noi ritroviamo più frequentemente nelle aule dei tribunali?
MARINA MARINO, Presidente del’Associazione nazionale avvocati matrimonialisti. Le questioni che noi troviamo sono quelle relative alla divisione dei beni, soprattutto quelli mobili, perché nella divisione dei beni immobili i problemi in genere non si pongono. Soprattutto se il bene è cointestato, è tutto a posto; altrimenti, magari in presenza di contribuzioni non uguali da parte dei due conviventi, il problema si pone anche per questa tipologia. Per ciò che riguarda i beni mobili vi sono una serie di vertenze che difficilmente hanno esito positivo, in quanto, se una coppia acquista gli arredi della casa e i vari oggetti, è difficile che con il passare degli anni tenga con sé la fattura, anche perché spesso non ‘è mai stata. Il problema diventa complicato nel momento in cui si tenta di ottenere il riconoscimento che determinati beni sono stati acquistati da uno dei due in modo da ottenere ‘attribuzione in proprietà degli stessi. Si consideri che per la maggior parte delle coppie conviventi questo processo è estremamente antieconomico, in quanto dura diverso tempo, ha dei costi rilevanti e quasi mai gli oggetti sono di valore. Malauguratamente spesso si tratta di arredi fondamentali sotto il profilo affettivo ed economico; per le persone dover riacquistare questi beni costituisce una spesa estremamente onerosa. Trovare una soluzione automatica rispetto a questo problema garantirebbe un minimo di giustizia al’interno di queste situazioni.
Vorrei fare una precisazione, la sentenza che richiamavo prima è la n. 6381 del 1993; quando facevo riferimento alla possibilità di regolamentare il comodato ‘uso della casa, il riconoscimento di un diritto reale come ‘usufrutto degli immobili, la possibilità di vedersi riconosciuta ‘erogazione di una somma, intendevo dire che non possono certo essere le parti a regolamentare aspetti che debbono essere disciplinati dalla legge, come i problemi relativi ai figli, alla successione e tutti gli altri cui facevo prima riferimento. Il fatto che la Cassazione abbia riconosciuto tutto questo non significa certo che sia inutile una normativa al riguardo, perché quegli accordi non potranno mai regolamentare questioni che investono altri; ad esempio due parti possono anche stabilire la reversibilità di una pensione al momento della morte di uno dei due, ma non ci sarà ente previdenziale che la paghi se non è tenuto a farlo in base ad una norma.
BEATRICE MARIA MAGNOLFI. Ho ascoltato con attenzione ‘intervento del’avvocato Marino, sono rimasta particolarmente impressionata dalla sua considerazione relativa alle discriminazioni sui figli. In effetti ci troviamo di fronte a regimi completamente diversi, che fanno pensare ad una discriminazione che non mette in linea con il dettato costituzionale neanche i figli, soprattutto se si pensa che queste coppie di fatto sono a volte determinate dalle lungaggini del divorzio derivanti dalla legislazione e dai tempi della giustizia. Come Commissione, nel cercare di portare avanti il provvedimento, abbiamo pensato di concentrarci sulle questioni che riguardano la convivenza tra gli adulti, rinviando alle previsioni attualmente contenute nel codice civile le questioni riguardanti i figli. Per un motivo di strategia parlamentare pensiamo che in questo caso sia opportuno cominciare a regolamentare la situazione che, come si è detto finora, produce contenzioso e non dà diritti, introducendo nel’ordinamento questo principio. Anche io considero enorme il problema dei figli e, probabilmente, meritevole di un provvedimento ad hoc. Vorrei conoscere ‘opinione di un tecnico su questa modalità dettata più da opportunità politica che da altro. Siamo su un terreno nuovo, molto complesso; pensiamo che il primo passo fondamentale sia quello di inserire nel’ordinamento questa casistica, dotando di diritti le persone adulte che attualmente ne sono completamente prive. Ritiene che un provvedimento appositamente dedicato ai figli possa rappresentare la soluzione migliore per tutti i numerosi aspetti che interessano la questione?
MARINA MARINO, Presidente del’Associazione nazionale avvocati matrimonialisti. Se questo è un impegno ad affrontare la questione del superamento delle discriminazioni che pure ancora esistono nei confronti dei figli, va benissimo.
È necessario, però, mettere al’ordine del giorno un problema che non costituisce semplicemente un fatto nominalistico, bensì di sostanza. Parlare di figli legittimi o naturali, è evidentemente improprio e provoca, di per sé, delle discriminazioni. Quindi, se le vostre parole vanno nel senso di impegnarsi ad affrontare il problema in tempi brevi, ne sono felice. Mi auguro che questo compito venga portato a termine.
NINO STRANO. Ringrazio ‘avvocato Marino per la sua esposizione. Vorrei soltanto sollecitare un parere tecnico in merito a quanto pubblicato oggi da Il Messaggero in prima pagina. Si riprende una dichiarazione di Doriano Galli, segretario nazionale della lega per i diritti sessuali della persona, il quale cita una legge del 1937 che permette di certificare le convivenze more uxorio. Pare che vi siano state due sentenze in tal senso – una sarà addirittura festeggiata in questi giorni a Roma – che hanno permesso la certificazione di questo status (una nel 1981 e una ulteriore nel 1985).
Si conclude ‘articolo sostenendo che la legge ‘è ma è poco nota; per questo motivo le domando se, a suo parere, qualora fosse vero questo tipo di impostazione, proprio essa non possa esserci utile nel percorso che stiamo realizzando.
MARINA MARINO, Presidente del’Associazione nazionale avvocati matrimonialisti. Non conosco queste sentenze ma ho ‘impressione che si faccia riferimento a quanto ho già affermato, cioè, alla possibilità di dichiararsi al comune come conviventi. Infatti, ‘unica norma che dà rilevanza giuridica allo stato di fatto della convivenza risultante dal certificato anagrafico è la possibilità per il convivente di andare a trovare in carcere il convivente detenuto. Non conosco le due sentenze da lei citate; osservo comunque che dal’ultima – quella del 1985 – sono passati ven’anni.
NINO STRANO. Ma ‘altra è in fieri!
PRESIDENTE. Non essendovi altri interventi, ringrazio ancora ‘avvocato Marino per la sua esposizione. Saremo lieti di acquisire eventuali documenti o relazioni scritte ai fini di un maggior approfondimento nel nostro lavoro.
Dichiaro conclusa ‘audizione.
La seduta termina alle 10.
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2008Milano: convivente lesbica risarcita della morte della propria compagna
29/07/2008 - Aurelio Mancuso
Aurelio Mancuso
E' di oggi la notizia che a Milano un'assicurazione ha risarcito il danno patrimoniale alla convivente di una donna morta per un errore nelle cure mediche.
Le avvocatesse Laura Granata ed Elisabetta Arrigoni, che hanno seguito il caso, informano che l'assicurazione dell'ospedale ha pagato il risarcimento dovuto alla responsabilità del medico, riconoscendo alla superstite, a fronte della semplice presentazione della documentazione di convivenza.
Le due donne non avevano alcun titolo neppure contratto all'estero, in quanto in Italia non esiste una legge che riconosca diritti e doveri alle coppie. L'assicurazione ha deciso che si trattava comunque di una comunione morale e patrimoniale, ritenuta come essenziale per considerare due persone come prossimi congiunti meritevoli del risarcimento.
Aurelio Mancuso
Presidente nazionale Arcigay
2010
STEFANO RODOTA' SUI MATRIMONI GAY
In tutto il mondo l’ agenda dei diritti si compone e
si scompone. Si discute della libertà di espressione su Internet. I diritti
dei migranti sono al centro di un importante intervento di Obama, mentre in
Europa producono manifestazioni di xenofobia e razzismo che influenzano le
elezioni nazionali. La crisi economica incide sui diritti dei lavoratori,
impone condizioni che violano il principio del “decent work”, della dignità
del lavoro. Le ultime notizie dall’ Islanda aggiungono un altro paese a
quelli che già hanno riconosciuto il matrimonio omosessuale, mentre in Italia
la comunità gay sta conoscendo inedite polemiche. A queste reagisce un
esponente autorevole di questo mondo, Aurelio Mancuso, affermando che «di
queste beghe la comunità non vuol sentire parlare, la comunità vuole
diritti», aggiungendo che si tratta di una richiesta rivolta a tutte le forze
politiche, senza distinzioni. Una mossa “politicista” o una giusta
sollecitazione istituzionale? Il Parlamento italiano è inadempiente, ed è
bene che sia richiamato ai suoi doveri. Con una recentissima sentenza,
infatti,
Non
è ammissibile, dunque, la disattenzione del Parlamento, perché in questo modo
si privano le persone di diritti costituzionalmente garantiti. Qualcuno, al
Senato e alla Camera, porrà con la dovuta durezza questa domandae chiederà
che si riapra almeno la discussione sulle unioni di fatto? Ma
Nell’
articolo 21 si vieta ogni discriminazione basata sulle tendenze sessuali. E,
soprattutto, nell’ articolo 9 si stabilisce che «il diritto di sposarsi e di
costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne
disciplinano l’ esercizio». La distinzione tra “il diritto di sposarsi” e
quello “di costituire una famiglia” è stata introdotta proprio per consentire
la costituzione legale di unioni distinte da quelle tra persone di sesso
diverso, dunque anche quelle tra omosessuali. E il passo avanti rappresentato
dalla Carta diventa ancor più evidente proprio se si fa un confronto con quel
che dispone l’ articolo 12 della Convenzione europea dei diritti dell’ uomo
del 1950, dov’ è scritto che «uomini e donne hanno diritto di sposarsi e di
costituire una famiglia secondo le leggi nazionali che disciplinano l’
esercizio di tale diritto». Confrontando questo articolo con quello della
Carta, si colgono differenze sostanziali. Nella Carta scompare il riferimento
ad “uomini e donne”. Non si parla di un unico “diritto di sposarsi e di
costituire una famiglia”, ma si riconoscono due diritti distinti, quello di
sposarsi e quello di costituire una famiglia. La conclusione è evidente. Nel
quadro costituzionale europeo, al quale l’ Italia deve riferirsi, esistono
ormai due categorie di unioni destinate a regolare i rapporti di vita tra le
persone. Due categorie che hanno analoga rilevanza giuridica, e dunque medesima
dignità: non è più possibile sostenere che esiste un principio riconosciuto –
quello del tradizionale matrimonio tra eterosessuali – ed una eccezione
(eventualmente) tollerata – quella delle unioni omosessuali. In un paese che
onora la civiltà della discussione e rispetta i diritti delle persone, queste
dovrebbero essere le linee guida per il legislatore. Poiché, invece, questi
temi sono ormai oggetto della prepotenza ideologica di chi vuole imporrei
propri valori, definendoli non negoziabili, può essere utile ricordare che il
mondo cattolico non è riducibile alle gerarchie vaticane e a chi se ne fa
portavoce. Nel 2008 la rivista dei gesuiti, Aggiornamenti sociali, ha
pubblicato una serie di scritti sulle unioni omosessuali, con i quali si può
dissentire su alcuni punti, ma che prospettano una conclusione assai
impegnativa.
Al
politico cattolico si dice che «non spetta al legislatore indagare in che
modo la relazione viene vissuta sotto altro profilo che non sia quello
impegnativo dell’ assunzione pubblica della cura e della promozione dell’
altro». E si sottolinea che, una volta riconosciuto il valore sociale della
convivenza, «risulterebbe contrario al principio di eguaglianza escludere
dalle garanzie certi tipi di convivenze, segnatamente quelle tra persone
dello stesso sesso». Poiché si tratta di diritti fondamentali della persona,
il riconoscimento «è istanza morale prima che garanzia costituzionale». Non
si potrebbe dire meglio. Ma si deve aggiungere che nessuno può
disinteressarsi di questo tema considerandolo affare di altri. Intervistata
dal New York Times, Martha Nussbaum ha detto: «Se mi risposerò, sarò
preoccupata del fatto che sto godendo di un privilegio negato alle coppie
dello stesso sesso». Anche la più intima tra le decisioni non può farci
distogliere lo sguardo dal vivere in società, dalla condizione e dai diritti
di ogni altra persona, lontana o vicina che sia. (Stefano Rodotà –
|
Si è svolta questa mattina
l'udienza della Corte Costituzionale che emetterà una sentenza solo in serata.
Ecco quali sono le tesi degli avvocati che assistono le coppie gay.
E' terminata intorno alle 11:30 l'udienza presso la Corte
costituzionale sul procedimento nel quale tre coppie omosessuali (Galliano
Mariani e Sergio Gallozzi al Comune di Venezia, Enrico Oliari e Lorenzo Longhi,
Emanuela Zambotti e Michela Ossanna) contestano la impossibilità di sposarsi
come illegittima e in contrasto con la Carta fondamentale. Ma solo alle 17 i
giudici si riuniranno in camera di consiglio per decidere quale sentenza
emettere.
Durante l'udienza pubblica, alla quale erano presenti le
tre coppie coinvolte oltre alle associazioni
Certi Diritti e Rete Lenford, gli avvocati hanno sostenuto la tesi della piena
costituzionalità dei matrimoni gay secondo gli articoli 2, 3, 29 e 117 della
Costituzione. Sarebbero invece discrimininatori gli articoli del codice civile
93, 96, 97, 108, 143 e 146/bis, che non consentono oggi il matrimonio tra
persone dello stesso sesso.
La questione trans - Un'altra delle tesi sostenute
dagli avvocati che hanno assistito le coppie gay è stata quella del matrimonio
trans: è singolare che i trans possano sposarsi dopo un'operazione chirurgica,
mentre i gay no. Ma l'osservazione sollevata è stata rifiutata dall'avvocato
dello Stato secondo il quale proprio l'avvenuta transizione da un genere a un
altro dimostra quanto sia necessaria una distinzione tra generi come requisito
minimo per accedere al matrimonio.
Le tesi dei costituzionalisti - Dopo che la corte
ha anche dichiarato inammissibili le richieste di intervento dell'associazione
radicale Certi Diritti, sono iniziati gli interventi dei costituzionalisti di
Rete Lenford che hanno seguito le coppie nell'iter giudiziario. In particolare
i legali hanno chiesto ai giudici di prendere una «decisione coraggiosa» per
mettere fine a una «discriminazione ingiustificata» che «brucia» a chi si trova
davanti la via sbarrata se chiede di potersi sposare con una persona del suo
stesso sesso.
Il professore Vittorio Angiolini ha chiesto ai giudici di
non rinviare la questione al parlamento, ma anzi di anticipare la decisione
politica: «È discutibile che debba essere solo il legislatore a rilevare
l'evoluzione sociale della famiglia, intesa come società naturale fondata sul
matrimonio - è stata la tesi del professore Angiolini - perché se può essere
solo il legislatore, allora non avrebbe più significato parlare di società
naturale. Queste persone non hanno bisogno delle nozze per stare insieme, ma
vogliono un simbolo, un legame sociale che li faccia esistere come coppia. Il matrimonio è basato sul
consenso, sulla volontà, e dunque sulla libertà. Sia dunque la Corte
Costituzionale a prendere contezza che la società è cambiata».
Anche per il professore Vincenzo Zeno Zencovich, «non è il
Parlamento ma la Corte Costituzionale a essere chiamata a riconoscere certi
diritti. La Consulta spesso anticipa tali riconoscimenti ancor prima
dell'intervento del legislatore - ha ricordato ai giudici costituzionali - come
in passato è ad esempio avvenuto per la riforma del diritto di famiglia».
Per la professoressa Marilisa D'Amico, «la libertà di
matrimonio, senza discriminazioni
di sesso, è un principio non scritto ma
già presente nella nostra società. Il genere è irrilevante rispetto alla
disciplina della scelta di relazione: rifiutare il matrimonio di coppie dello
stesso sesso vuol dire negare la libertà
di orientamento sessuale e soltanto la Corte Costituzionale può rimuovere
questa irragionevole discriminazione».
Ha osservato a tal proposito il professore Massimo Clara:
«La natura si evolve, così come si evolvono i costumi. Oggi il matrimonio non è
più finalizzato alla procreazione, in quanto ci sono matrimoni senza figli e
figli nati fuori dal matrimonio. Oggi il matrimonio si basa sul consenso delle
due parti, che si richiama a sua volta al concetto di libertà individuale».
^L'avvocato dello Stato - A rappresentare le ragioni dello
Stato, contro le posizioni delle coppie gay, c'era l'avvocato Gabriella
Palmieri secondo il quale «Il Parlamento è l'unica istituzione che può
intervenire legiferando in tema di matrimonio». «Non si può immaginare una
lettura evolutiva della norma costituzionale, per la quale la famiglia
rappresenta la società naturale formata dal matrimonio fra un uomo e una donna:
non si tratta di una norma "in bianco" - ha osservato l'avvocato
Palmieri - né si può immaginare l'illegittimità di tale norma che sarebbe
superata per sopravvenuto mutamento sociale. La diversità di sesso - ha sottolineato - resta un elemento
necessario dell'esistenza stessa del matrimonio fra due individui». Inoltre,
l'avvocato dello Stato ha ricordato che «nessuna normativa europea obbliga ad
ammettere il matrimonio fra persone dello stesso sesso, il cosiddetto "same sex
marriage". L'Unione Europea né vieta né impone una scelta ma fa richiamo
alla sfera del legislatore nazionale e al pluralismo culturale dei singoli
Stati, prevedendo una pluralità di modelli che rifletta una pluralità di scelte
per le quali - ha ribadito l'avvocato Palmieri - la competenza resta del legislatore,
ovvero del Parlamento chiamato ad approvare la legge».
Gli ultimi interventi su questo argomento dal Forum:
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Inviato da: antonio di giacomo
Data: 23-03-2010 18:05 Vorrei ringraziare Certi Diritti (anche per il fatto di essere la prima associazione glbt che pubblica online il bilancio) e Rete Lenford per i risultati che hanno raggiunto in così poco tempo a favore di tutta la comunità gay. Non posso dire, invece, la stessa cosa nei confronti delll'arcigay e compagnia bella che in tutti questi anni non hanno fatto nulla al riguardo. Dall'Espresso si evince, infatti, che la via legale, come hanno fatto Certi Diritti e Rete Lenford , è stata intrapresa soltanto ora nel nostro Paese! Mi chiedo le ragioni di tale comportamento. Come mai un piccolo gruppo di avvocati è riuscito a portare le nostre rivendicazioni fino alla Corte Costituzionale ed invece non sono riusciti a farlo i vari uffici legali dell'arcigay o del mario mieli? Grandi associazioni politiche che dispongono di uomini,mezzi, denaro e politici in Parlamento. Cosa hanno fatto in tutti questi anni? C'hanno almeno provato? Ma a cosa dovevano servire i soldi che diamo a queste associazioni attraverso il tesseramento, le affiliazioni dei locali, le donazioni dirette e indirette che si fanno frequentando le loro attività ludiche? A mantenere solamente i loro lauti compensi, quelli percepiti dai cosiddetti " volontari con la busta paga"? E ora che la cosa si fa seria, hanno anche la faccia come il culo di salire sul carro dei vincitori, non si sa mai ...dovessero farcela ...vero? (da Gay.it) |
2011
San Fransisco ospita una delle comunità gay più importanti al mondo e proprio qui è stato condotto uno studio, della durata di tre anni, su come 556 coppie gay strutturano il loro rapporto. La documentazione prodotta dai ricercatori Colleen Hoff e Sean Beougher della UCSF ha poi rivelato che il 50% delle coppie pratica sesso extraconiugale senza nascondere nulla al proprio partner.
MATRIMONIO LESBICO: DI’GAY PROJECT RISPONDE ALLA
LETTERA DI GIOVANNI DALL’ORTO
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Il segretario dell'Udc, intervistato su Rai 1, apre al riconoscimento di tutele per le coppie conviventi, anche gay. Ma poi precisa: "Il matrimonio? Forzatura ideologica dei gay che vanno al Pride"
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22 MILA MATRIMONI GAY IN 7 ANNI
IN SPAGNA
(TG2 DELLE 23.30
DEL 7.11.2012)
2015
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