Massimo mi telefona annunciandomi
di aver ricevuto l’invito per l'anteprima del film “Uomini, Uomini, Uomini”
che si sarebbe tenuta in un posto in Viale Regina Margherita. A fine conferenza
stampa chiede a Leo Gullotta di poterlo intervistare per Rome Gay News e
la cosa avviene una settimana dopo in un bar nei pressi del
Teatro il Bagaglino dove l'attore catanese stava registrando Champagne.
Massimo, che anche in quella occasione mi volle con sé, riuscì ad intuire che Gullotta aveva intenzione di regalargli uno scoop facendo coming out
proprio con lui, con il suo settimanale. Io ero emozionato e mi scappò anche la lacrimuccia
quando Massimo, alla fine della terza risposta, blocca il registratore che, fino a quel
momento era andato senza interruzione, e rivolgendosi a Leo gli fa:
posso chiederti una cosa? E lui, come
aspettandosi il senso della domanda fatidica che sta, (forse finalmente) per
arrivare, gli fa : riaccendi pure il
registratore…
cosi Massimo: Sei gay?
cosi Massimo: Sei gay?
E’ inutile
dire che l'intervista ebbe molto successo, venne lanciata dalle agenzie di stampa e fu ripresa da tutte le testate giornalistiche in concomitanza con il coming out
di Rupert Everett.
Nei giorni seguenti Leo andò a
visitare l’archivio di Massimo alle Frattocchie rimanendo sorpreso della gran mole di
documenti ivi raccolti . Dopo vent’anni di attesa, e considerato che i documenti
dell’Archivio Consoli - ancora oggi non
sono fruibili a tutti – pubblico l’intera intervista in questione (perché Leo parla di tante cose serie
che nessun quotidiano ha riportato) e la relativa rassegna stampa,
accuratamente raccolta e rilegata da Massimo.
ANTONIO DI GIACOMO
Leo Gullotta
Intervista di Massimo Consoli
per Rome Gay News
6 marzo 1995
Un’intervista
insolita, dove appare un Gullotta ben diverso dall’immagine scanzonata e
disimpegnata che siamo abituati a conoscere. Un Gullotta immerso fin in fondo
nei problemi della nostra società. Che ancora s’indigna, che ha il coraggio di
indignarsi contro l’ipocrisia della gente, della chiesa, del sistema che ci
sovrasta e ci opprime….e poi contro la stampa che non registra la sua
indignazione e finge di non aver sentito.
Un Gullotta che non si sente a suo
agio nel disimpegno che ormai invade e pervade ogni angolo della nostra vita.
Che soffre per il gioco al massacro al quale tutti sembrano dedicarsi con
passione, scaricando sugli altri la colpa di tutto, senza individuare le
proprie responsabilità. Un Gullotta che ama disperatamente il proprio Paese
ridotto a lupanare e che, senza neanche averne l’intenzione precisa, sembra
indicarne l’unica via di salvezza nell’impegno sociale, nella lotta quotidiana
ed apparentemente impercettibile accanto a tutti coloro che hanno bisogno
d’aiuto.
E’ un Gullotta che non
ci fa ridere, quello che traspare da questa intervista, ma che senz’altro si fa
amare.
E’ nato a Catania 49 anni fa, sotto il segno del Capricorno.
Ha iniziato giovanissimo con il teatro lavorando per lo Stabile della sua
città. Ha girato tutto il mondo accanto ad attori come Turi Ferro e Salvo
Randone.
Arrivato a Roma negli anni ’70, si è accostato al teatro cosiddetto
“leggero”, passando poi al cabaret e al cinema (dove ha girato una ventina di
film), mettendo nel carnet dei numerosi premi ricevuti un David di Donatello
con il “Camorrista” di Tornatore, un Nastro d’Argento con “Mi manda Picone”, di
Nanni Loy, un premio della critica televisiva per una serie tratta da un libro
di Luigi Malerba e cosi via.
Non molti lo sanno, ma il suo impegno sociale è vorticoso: dalla Bosnia alla Somalia, da Amnesty International al Filo d’Oro, passando per varie iniziative di beneficenza e di sostegno nella lotta contro l’Aids. Leo Gullotta è sempre presente e attivo. La settimana scorsa è uscito, in tutte le sale italiane, il suo ultimo film, “Uomini, uomini, uomini”.
Consoli: Com’è nato questo film?
Gullotta: Il film si è fatto quasi con la voglia e per la
volontà di De Sica, che Christian a condiviso in pieno con me e gli altri due
attori. L’abbiamo fatto, l’abbiamo voluto, superando anche le fasce dei
cosiddetti costi di mercato che ognuno di noi può avere, accettando pochissimo
denaro, quasi investendo nello stesso film con la voglia di raccontare
qualcosa. A questa Italia, che gioca e scherza su tutto, con una stereotipata
immagine della risata facile, si sentiva la necessità di offrire un momento di
riflessione su un argomento molto importante.
E allora Christian De Sica,
Enrico Vanzina e Giovanni Veronesi, han messo su carta questo percorso, questi
quattro momenti tra i mille possibili, queste quattro note umane di racconto,
quattro tasselli di un mosaico molto più composito. Aver fatto questo in
Italia, e con un produttore come Aurelio De Laurentis che ci permette di fare
uscire il film in maniera così prorompente significa che non rischiamo di
finire nel solito cinemino per due settimane: e poi arrivederci e grazie.
Consoli: Chi è che ha avuto l’idea originaria di questo
film?
Gullotta: Christian De Sica, che assieme a Vanzina ha
scritto il soggetto. Poi, nella fase di sceneggiatura, è intervenuto anche
Veronesi. Lentamente ha coinvolto noi attori (gli altri due sono Massimo Ghini
e Alessandro Haber) e fin dall’inizio, per il ruolo di “Tony”. De Sica ha pensato a me, perché
questo è l’unico personaggio della storia che ha due fasi, due racconti: una
vita normale, e poi l’altra faccia drammatica. Ed io sono stato ben felice di
farlo.
Consoli: Ti ci sei identificato?
Gullotta: Io entro sempre nei panni del personaggio che di
volta in volta mi si chiede di interpretare. Cerco sempre di recuperarne
l’umanità, l’anima, più che l’immagine che se ne offre, dai capelli al modo di
vestire. In Tony ho cercato di recuperare una pulizia di fondo. Dei quattro
personaggi, Vittorio, Sandro, Dado e Tony, proprio quest’ultimo è il più
dichiarato ma anche il più sereno, quello che gioca, che scherza, ma in realtà
è il più insicuro, il più debole.
E’ come un uccellino, con questa sua mamma
incombente, che lo fa sentire forte ma che, invece, rappresenta proprio tutto
quello che si legge sulle madri, con la paura opprimente che hanno per la sorte
dei loro figlioli.
Consoli: Sei gay?
Gullotta: Sì. E non l’ho mai detto prima. Questo,
naturalmente, fa parte di un ‘immagine che in un Paese come il nostro bisogna
saper valutare e saperlo come dire, visto che immediatamente, nonostante tutti
i discorsi che si fanno in proposito, e nonostante le battaglie combattute, sei
puntualmente additato, soprattutto se sei noto. Questa domanda non me l’ha
rivolta mai nessuno. Non so se chi di solito m’intervista la pensa o non la
pensa, se è in lui volerlo chiedere oppure no. Questo non te lo so dire.
Nessuno me l’ha mai chiesto e non vedo perché l’avrei dovuto dire.
Tu me lo
chiedi per la prima volta ed io ti rispondo. Non mi preoccupa tanto quello che
si dice, quanto l’utilizzo che poi si fa di queste dichiarazioni. Ti porto un
esempio. Se lavoro ad un film o ad uno spettacolo teatrale, puntualmente la
prima cosa che ti fanno certi giornali è di pubblicare foto che non hanno
attinenza con l’opera alla quale sono impegnato. Come questa famosa signora
Leonida, il personaggio che faccio in televisione e con la quale mi vedo
etichettato in continuazione sulla stampa.
L’uso che ne fanno non è corretto.
Durante la conferenza stampa per la presentazione di questo film, qualcuno mi
ha chiesto se mi sentivo imbarazzato a interpretare il ruolo di Tony. Al che ho
risposto: “io mi sento imbarazzato per te”. Che vuol dire? Che se interpreto la
parte di un magnaccia o di uno spacciatore di droga mi ci devo sentire a
disagio? Io questo mestiere faccio. Interpreto le cose nascoste che l’uomo di
per se fa’ finta o non riesce ad esternare. Il compito dell’attore è questo,
prendere pezzettini di zone nascoste del proprio cuore e della propria anima,
ingrandirle e farle vedere al pubblico durante la rappresentazione. Però,
dietro una domanda del genere noto sempre un’ambiguità di fondo. Non sento mai
una ufficialità, una serietà, un rispetto.
Consoli: Vivi da solo o hai un compagno?
Gullotta: Vivo tra Porta Metronia e Porta Portese. Con molta
libertà, serenità, tranquillità, rispetto e da tantissimi anni.
Consoli: Che definizione daresti dell’omosessualità, della
realtà gay?
Gullotta: Gay. Esserlo o non esserlo…ma che vuol dire?
Innanzitutto penso che si tratti di una posizione mentale, un percorso di vita.
Darne una definizione può essere importante o utile a chi vive una situazione
difficile, a chi, magari in una provincia isolata, ha bisogno di una spinta, di
conforto, o comunque ha bisogno di sapere.
In questo caso, son ben felice di
essergli utile anche con il mio esempio. Ma perché bisogna sempre definire
tutto, quasi fosse obbligatorio? E’ come voler definire la fame, la sete, la
gioia, la tenerezza, l’amore, la disperazione…Mi sembra che si voglia mettere
un neon attorno a questa cosa come per farla risaltare meglio nel vocabolario.
A me non me ne frega più di tanto. Anzi, se lo facessi mi sentirei come uno che
avesse appiccicato qualche etichetta a questa parola.
Consoli: Ma tu sei senz’altro utile. Un personaggio come te,
così naturalmente simpatico, così amato da tutti, ha un impatto notevole sulla
società. Nella conferenza stampa di presentazione del film “uomini uomini
uomini”, hai affrontato vari aspetti e gradi dell’ipocrisia, soprattutto quella
della chiesa cattolica.
Gullotta: E nessun giornale lo ha riportato. Questa è
l’ennesima prova di come la stampa faccia finta che tu non abbia detto nulla
perché le tue affermazioni potrebbero dar fastidio a qualcuno o a qualcosa.
Trovo molto snobberìa in Italia, molti circoli chiusi. Se c’è una emarginazione
è proprio quella del cinema, una emarginazione culturale, da parte di uomini da
poco, nei Ministeri addetti. Non si fa nulla.
Addirittura non c’è più il
Ministero del Turismo e Spettacolo e
questo dovrebbe far capire la grande crisi che stiamo attraversando. Per troppo
tempo si è vissuti con una certa puzza sotto al naso da parte di certo cinema.
Quindi tutto si è dissolto facendo soltanto film che hanno un circuito di due
settimane in qualche saletta, e poi i tre o quattro che escono a Natale, i
cosiddetti “commerciali”, mentre manca tutta la struttura di mezzo,
importantissima. Il mio cinema, quello che intendo io,dei giovani che stimo, è
il cinema di Tornatore, uno che conosce la scrittura, l’emozione, lo spettacolo
da offrire allo spettatore.
Ecco, questo, come quello di Nanni Loy, è il cinema
civile, d’impegno, dove c’è un momento di riflessione sociale, di indignazione.
Da noi, negli ultimi anni, c’è una grave mancanza di indignazione.
Io sono tra
i pochi che ancora provano un sentimento del genere. Io mi indigno! Non
appartengo a nessun carro, non ho mai portato valigie a nessuno, per una
scelta. E dormo sogni tranquilli, anche se spesse volte questo tipo di libertà
la paghi o te la fanno pagare, perché, a turno, dovresti essere o giullare o
aggregato di una certa situazione. Soffro, e ormai da lungo tempo, di trovarmi
in una società sempre più cinica e sempre più incivile. Basti pensare a
situazioni come la Bosnia o la Somalia, alla merda sparsa ai quattro venti
dalla politica italiana, e non solo da questa, visto che oramai viviamo una
crisi a livello mondiale. Grandi colpe che, nel proprio piccolo, ha ognuno di
noi, tutti noi.
Tutti condannano il politico Caio o l’amministratore Sempronio,
che ovviamente sono da condannare, ci mancherebbe altro. Ma ognuno di noi
dovrebbe fare una seria riflessione sulle proprie piccole colpe giornaliere.
Negli ultimi cinquant’anni la società italiana è vissuta e cresciuta a pane e
orticello personale, fatto delle piccole e squallide cose di ogni giorno, che
ognuno si coltivava per conto proprio.
Consoli: C’è qualcosa che, in particolare, vuoi dire ai
tanti ammiratori dei tuoi film, dei tuoi spettacoli?
Gullotta: Se c’è un signore, accanto a voi, mentre aspettate
di prendere l’autobus, che magari sta su una carrozzella…evitate di far finta
di non vederlo.
A lui basta soltanto un sorriso. Gli regalate una giornata
positiva. Non fingiamo che le cose non esistano. Guardiamole. Avviciniamoci.
Siamo realisti.
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