INTERNATIONAL GAY HISTORY ARCHIVES
New York. Fondato da Bruce Eves e Hohn Hammond, deriva
da una collezione di opuscoli e libri che costituiscono un progetto di storia
gay per una biblioteca originariamente dagli scopi più ampi. La biblioteca era
collegata alla libreria W.W.3, di New York, fin dal 1975, ed era stata creata
da Suber Corley, Bruce Eves (Direttore), il sottoscritto Amerigo Marras
(Fondatore), e Paul Mc Lelland. Tutti venivano (venivamo) da Toronto, in
Canada. L’idea iniziale era di raccogliere solo informazioni correnti, in
quanto storia nel momento della nascita dei conflitti sociali e delle lotte
politiche per i diritti umani.
L’Archivio Internazionale
venne costituito più tardi fu gay nel contenuto, ma più ambizioso negli scopi,
comprendendo schedari storici e per autori o organizzazioni. Il suo modello fu
lo straordinario Gay Archive di Toronto, ben utilizzato e utile per la sua
funzione politica di attiva conservazione della storia della popolazione gay in
quella città.
La prima consistente
donazione di materiali fu il lascito dei documenti della Gay Activists
Alliance, allora sul punto di sciogliersi. Bruce Eves divenne l’ultimo grafico
dell’ultimo numero del loro giornale. In seguito, arrivarono gli archivi privati
di Arthur Bell, che era stato il primo giornalista ad essere assunto come gay
reporter da un periodico dell’establishment editoriale americano (“The Village
Voice”).Altri autori si fecero avanti, come Jonathan Katz (“Gay American
History”), che fece dono del manoscritto del suo fondamentale libro. Dopo il
1983 gli archivi si trasferirono da Manhattan a Brooklyn, senza mai ricevere
finanziamenti pubblici e senza che sembrasse possibile che due persone
riuscissero a farli funzionare in maniera efficiente e a tempo pieno. Nel 1988
una metà venne ceduta alla New York Public Library, e più di recente l’altra
metà è entrata a far parte del patrimonio del Gay and Lesbian Community
Services Center. Uno storico gay come Massimo Consoli (che io ho cercato,
inutilmente, di convincere), ne sarebbe stato il Direttore ideale, qui a New
York.
ARCHIVIO MASSIMO CONSOLI
Roma 1959 – 1996
PIU’ DI UN DOCUMENTO OLOGRAFO
Mi dispiace molto che
l’Archivio Internazionale di Storia Gay non sia più nelle mani dei suoi
fondatori. Mi dispiace molto, e per due motivi. Il primo è che sono da lungo
tempo attento osservatore delle sconfitte e delle vittorie riportate dal
movimento gay, dalla comunità e dai singoli individui che intraprendono delle
iniziative. Purtroppo, le vittorie sono poche, mentre le sconfitte sembrano
accumularsi senza soluzione di continuità. Ogni volta che il fax non riceve più
l’ultimo numero della nostra agenzia, o il postino ci restituisce la
corrispondenza che avevamo spedito perché il destinatario ha cessato le
attività, in redazione l’atmosfera diventa cupa. Ma non crederò mai a quanto
sosteneva Donald Webster Cory, celebratissimo autore di “The Homosexual in
America” che in un libro molto meno conosciuto (“Odd Man In”, 1969), proclamava
che i gay erano profondamente disturbati ed incapaci di formare organizzazioni
durevoli nel tempo. La realtà è ben diversa e, semmai, più complessa. La
situazione sociale e legale nella quale vive l’omosessuale gli impedisce o gli
rende difficile il mantenimento di organismi e strutture che non riescono a
godere dei vantaggi considerati normali per chiunque altro. In compenso, sono
costretti a subire tutte le difficoltà delle organizzazioni ai limiti della
legalità o, in certi paesi, considerati del tutto illegali.
In queste condizioni c’è ben
poco da sperare. Bruce Eves e John Hammond hanno salvato il loro archivio
privandosene. Cedendolo a due organismi uno dei quali, la New York Public
Library, fa parte del sistema ed al sistema stesso è funzionale. L’Archivio
Internazionale di Storia Gay, ormai, è gay solo nel contenuto, ma non più nelle
strutture (e negli scopi), con tutto ciò che di negativo una tale situazione
può comportare. Il secondo motivo di dolore è nei miei problemi di
identificazione. Anch’io ho fondato un archivio e sono quasi quarant’anni che
lotto per la sua sopravvivenza. Devo quotidianamente vincere la tentazione di
abbandonare tutto e di accettare incarichi più socialmente integrati (e meglio
retribuiti) in Italia e all’estero, per il solo piacere di averlo con me, di
viverci dentro, di arricchirlo giorno dopo giorno di un altro libro
introvabile, di un numero di un periodico che mi permetta di rilegare un’intera
annata, di una lettera di un ricercatore all’affannosa ricerca della soluzione
ad un problema al quale io posso contribuire in dieci minuti. E poi, devo
sostenere gli attacchi degli jettatori di professione che, sempre più spesso
con l’avanzare degli anni, si preoccupano della mia salute esclusivamente in
funzione dell’archivio.
“Hai deciso a chi lasciarlo?”,
mi chiedono insistentemente al primo colpo di insolita tosse, o alla prima
lamentela di stanchezza. Oppure, “Che ne sarà di tutte queste raccolte quando
tu non ci sarai più?”
No. Non ho ancora deciso a
chi lasciarlo.
L’avrei voluto donare al
Comune di Roma. Poi, nel 1980 l’amministrazione capitolina (leggi, PCI), mi mise
in una situazione tale da costringermi ad accettare un invito che veniva da New
York, dove rimasi cinque anni. L’avrei voluto donare alla Biblioteca Nazionale
Vittorio Emanuele II, poi ho visto che è quasi impossibile potervi consultare
certi libri…
L’avrei voluto donare allo
stesso IGHA di New York, ma la loro mancanza di una sede stabile e delle
necessarie strutture organizzative mi fece desistere fin da allora. L’avrei
voluto donare al circolo romano Mario Mieli, ma tutti possono capire perché poi
non l’ho fatto.
L’avrei voluto lasciare a
Gheddafi per una certa somiglianza caratteriale che ci accomuna. Infatti, se
come dicono in molti, sono stato un pazzo a spendere una fortuna in libri,
opuscoli, giornali, cartoline, manifesti, spille e oggetti vari legati alla
cultura gay, chi meglio di un altro pazzo (con in più i vantaggi del potere)
avrebbe potuto amministrare questo capitale?
A New York, ricoverato in un
letto d’ospedale per un’infezione contratta in Africa, e sentendomi prossimo a
morire dopo una notte di inarrestabile diarrea, chiesi carta e penna per fare
testamento a favore di Felix Cossolo, un militante della seconda generazione
che, all’epoca, sembrava molto ben intenzionato..
Grazie al cielo(!) sono vivo
ed in buona salute (almeno sembra!), con l’intenzione di seppellire tutti gli
amici così preoccupati delle mie condizioni fisiche…
L’avevo perfino messo in
vendita, il mio archivio, come un principe innamorato decide di vendere lo
schiavo favorito che lo fa tanto soffrire. L’ho messo in vendita per una cifra
folle: cento milioni. Grazie al cielo(!!), nessuno si è fatto avanti, ignorando
che nei soli Stati Uniti ne ho spesi centottanta, di milioni! Però, è dura
andare avanti. Per mancanza di spazio, i libri non seguono più quello che una
volta era un perfetto ordine logico, ed è oramai un problema rintracciare “Die
Homosexualitaet”, di Magnus Hirschfeld, che proprio recentemente avevo
intravisto tra “L’omosessualità negli animali”, di Giorgio Celli, ed una
ventina di annate rilegate di “Arcadie” (che, tra l’altro, non riesco più a
trovare!).
Del resto, perché dopo aver
penato tutta una vita andando da Roma ad Amsterdam in autostop, da Forlì a Lugo
di Romagna a piedi, da Bruxelles a Parigi in treno, da New York a Boston e da
San Francisco a Los Angeles in aereo, dalla Danimarca alla Svezia in
traghetto..per rintracciare libri creduti persi o cartoline rare o giornali
introvabili..perché dovrei donare tutto quello che ho raccolto mentre i miei
amici (e i miei nemici) facevano gli stessi percorsi, ma con ben altre
intenzioni? Perché sono costretto a vivere in castità da otto anni (maggio del
lontano 1988..), visto che mi è impossibile perdere tempo in rapporti sessuali
o relazioni che mi impedirebbero di scrivere, di studiare, di accumulare
oggetti e documenti?
No. Credo proprio che mi farò
seppellire, nel mio giardino, in una piramide con tutto il mio archivio, per
non soffrire di noia nell’infinito di nostra Madre la Terra.
MASSIMO CONSOLI
1996
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