Il marchio sui documenti dai gay in Baviera è una
discriminazione che richiama sinistri esempi del passato.
Ma non la sola: paese che vai, intolleranza che trovi.
RISPETTO PER L’OMO
di Enzo Biagi
Ognuno aveva un numero e un
colore. Rosso, voleva dire oppositore. C’erano i neri, renitenti al lavoro e i
verdi, criminali di professione, e i numeri rosa, per i “diversi”, e i gialli
per gli ebrei. Sul loro documenti c’era anche una sigla “j” che sta per “jude”.
Chi comandava in Germania era un tale Adolf Hitler.
Adesso è diventato un caso di
comportamento di certi poliziotti di Monaco, che sul passaporto di alcuni
stranieri hanno aggiunto una annotazione: forse una “h”, che potrebbe voler
dire omosessuale, ma anche prostituto, uno che esercita nel mondo degli
invertiti. E’ una classifica basata sulle preferenze amatorie alla quale non
siamo disponibili, e che riporta alla memoria tempi infelici.
E’ una forma di discriminazione
inaccettabile, che riconduce a manifestazioni odiose di intolleranza o
addirittura di razzismo. Per i “tutori dell’ordine”, bavaresi, che arrivano
fino a ispezionare i giochi delle mutande, rischierebbero di essere segnalati
anche Michelangelo e Leonardo, figuriamoci quell’esibizionista di Oscar Wilde e
l’irrefrenabile André Gide, che cadde in tentazione perfino durante il viaggio
di nozze. E addirittura il “classico” Thomas Mann, così tormentato da
incertezze, potrebbe avere, oltre alla nutrita e ammirata bibliografia, anche
una scheda nel casellario giudiziario.
E’ vero che la cattolica Baviera
è il più conservatore del Lander, la figura più eminente che ha espresso nel
dopoguerra è stato Franz Josef Strauss, leader dei cristiano-sociali, definito
con ironia dagli avversari “il Churcill delle Alpi”, uno che voleva promuovere
il riarmo psicologico dei tedeschi, il tipico “uomo forte”.
Aveva idee precise e otteneva
larghi consensi. “La politica” affermava uno dei suoi motti “è saper dominare”.
Non aveva molti riguardi per
i problemi psicologici e morali, diceva, per esempio: “Io non sono un vigliacco
perché non sono un obiettore di coscienza”. Erano frequenti i suoi appelli
“alla reazione sana della gioventù”.
Anche il nazismo si propose di
far pulizia, di “liberare la vita pubblica dal profumo soffocante dell’erotismo
moderno”. Cinema e teatri, letteratura e manifesti dovevano ispirarsi alla
nuova etica: venne subito ordinata la chiusura dei locali frequentati dai
pederasti, calcolarono che fossero più di un milione, e degli alberghi a ore, e
fu proibita la vendita, coi distributori automatici dei preservativi.
Tutto questo rigore non
impedì all’ex studenti Horst Wessel, bardo delle camicie brune e autore
dell’inno In alto la bandiera, di
fine accoppiato dalla rivoltellata di una puttana. Ernst Rohm, comandante delle
squadre di assalto, si intratteneva con giovanottoni nei bagni turchi e nel
Kleist Casino di Berlino, rifugio di gentiluomini dai gusti insoliti, e anche
quando Hitler gli sparò addosso era in compagnia di un’allegra, gonfia e
sudaticcia brigata.
Il fatale riferimento al Terzo
Reich, in queste circostanze, è ovvio e ricorrente, come per ogni
manifestazione del naziskin, gli imbecilli violenti che ostentano incredibili
capigliature, inattuali svastiche e aggressive testimonianze di nostalgici
costumi.
Il marchio “omo” usato
abusivamente non è solo una discriminante tra gli etero e gli altri, ma anche
una forma di xenofobia: colpiva soprattutto i gay arrivati da fuori. Non è insomma
un ritorno al passato, ma rivela preoccupazioni che nascono dal presente. Le
ondate di immigrati, provenienti in gran parte dall’Est, creano seri problemi
anche nella Bundesrepublik.
Non credo che sia in arrivo
un’altra Gestapo, ma capisco che quella stampigliatura crea allarme, prima di
tutto tra chi già una volta ha sofferto di dolore provocato da queste
iniziative che offendono la dignità umana.
Qualcuno teme che la Baviera
sia solo un prologo: da quella parti circola ancora una barzelletta. “Hanno
arrestato tutti i ciclisti e tutti gli ebrei” dice uno. E l’altro: “Perché i
ciclisti?”
Paese che vai, intolleranza
che trovi, e se in Israele stanno pensando di aprire una spiaggia “tutta per
loro”, con turni bisettimanali di ingresso libero anche per le lesbiche, nello
Zimbabwe lanciano una campagna contro tutta la compagnia, paragonata ai “ladri
e gli assassini”.
Da noi, prende la parola il
presidente dell’Arcigay e denuncia i soprusi di cui sono vittime gli aderenti
alla associazione: 40 mila, in rappresentanza anche dei 3 milioni di italiani
con identiche propensioni. Afferma che nei loro ritrovi non c’è n’è droga né
trasgressione perché loro aspirano alla “normalità”: se si avverte una
ossessione è quella del sesso.
Ma c’è chi negli impieghi
“distingue”: puoi anche essere bravissimo, ma “se frequenti certi ambienti” ti
lasciano a spasso.
E c’è chi annota le targhe
davanti a certi luoghi di incontro per potere poi identificare i frequentatori.
Il pregiudizio è sempre faticoso cacciarlo.
Franco Grillini è contento
perché l’omosessualità non è più considerata dalla Organizzazione mondiale che
si occupa della salute una malattia mentale, ma una variante del comportamento
umano. Che va rispettata, mi pare ovvio, ma diventa fastidiosa quando viene
esibita. Come la virilità ostentata, del resto.
Non vedo che ragioni ci siano
per essere orgogliosi dell’attività erotica, per metterla in mostra addirittura
sulle strade, o piazzando uomini e donne nudi come “provocazioni”: ma di chi?,
in una sfilata di moda. Che non è l’arte di svestirsi.
PANORAMA
31.08.1995
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