GAY E MOVIMENTO
di ENZO FRANCONE
(pubblicato su LAMBDA del febbraio 1978)
La
notizia di un’ennesima frattura avvenuta a Milano all’interno del Collettivo di
Liberazione Sessuale di V.Vetere mi ha dato lo spunto per delle considerazioni
sul come si sta muovendo il MOVIMENTO GAY, o meglio come si stanno muovendo gli
omosessuali “politicizzati”.
ENZO FRANCONE |
Nella
storia di questi anni dei gruppi omosessuali, le polemiche, le diversificazioni e le
scissioni non sono state indubbiamente poche. Un riflesso sicuramente delle
diversità sociali, di classe, di esigenze esistenziali che esistono fra gli /le
omosessuali, ma anche molto di riflesso della condizione di oppressione, di
emarginazione, di paure, di non “identità” di non accettazione di se stessi che
vengono usualmente scaricate fra noi stessi omosessuali.
Antagonismi che si sono espressi in
terminologie verbali “politico-ideologiche” e che invece riflettevano (e
nascondevano) il classico antagonismo “personale” tra oppressi, tanto fra froci
che fra donne. Nel momento in cui, tanto per fare un esempio, la frattura nel
C.L.S. di Milano, ha come prodotto finale unicamente il frantumarsi di un
collettivo con la relativa scomparsa totale dalla scena politica dei suoi
componenti, mi domando: che senso ha avuto, che cosa ha espresso? Il dubbio che
mi sorge è quello che sia stato solamente un ennesimo momento di autonegazione,
di autodistruzione. Se veramente voleva essere l’apertura di un’altra
situazione di intervento frocetario, di un’aggregazione di gay fatta su basi
diverse, penso che non necessitava la lacerante contrapposizione verbale
(….scatenante solamente esplosione di odii…), bensì la semplice
diversificazione di azione politica, di fatti alternativi. Invece il nulla.
In un
momento come questo non mi pare proprio opportuno, necessario creare dei vuoti,
delle disgregazioni. Compagni omosessuali, compagne lesbiche se non vogliamo
negarci la riappropriazione della nostra vita, non ripiombiamo e/o lasciamo che
altri ci facciano ripiombare indietro.
La
consapevolezza che la repressione sessuale gioca sui sensi di colpa,
sull’autonegazione, sull’autorepressione agli antagonismi fra gay deve essere
costantemente presente nella nostra azione “politica”. Questa consapevolezza è
sovente completamente assente nei/lle nuovi/e omosessuali che approdono nei vari
gruppi. Così che si assiste ad un ripercorrere di situazioni che potevano
essere inevitabili i primi anni di vita del MOVIMENTO GAY, non più oggi. Con
questo non vorrei fermarmi semplicemente al livello di lamentele/a. Mi sembra
invece che si debba mettere in discussione un metodo politico, di gruppi e
singoli omosessuali che fanno soprattutto (anche se non solo) riferimento ai
gruppi “autonomi”.
In
questi gruppi una delle caratteristiche diffuse è quella della rapida comparsa
ma ancora più rapida scomparsa dalla
scena. Dai nomi più disparati e “creativi”, la maggioranza hanno una vita di un
anno o due. Si ritrovano in sedi di fortuna, pochi collegamenti a livello nazionali,
nessunissima forma organizzativa se pur “alternativa”, centrati unicamente su
un lavoro di “presa di coscienza” e dilaniati internamente da “scazzi”
personali, da “sparate” massimalistiche e demagogiche, da alti e bassi d’umore,
da “svaccamenti” e defezioni continue. Da una parte mi pare giusto riconoscere
che alcuni di questi gruppi hanno espresso delle esperienze e dei discorsi
interessanti; dall’altra parte però la loro precarietà, vista in un quadro
nazionale e nel tempo, determina un’incidenza a livello sociale largo ( e
quindi politico) limitatissimo.
La mia
esperienza e i miei travagli di vita all’interno del MOVIMENTO GAY mi hanno
fatto prendere consapevolezza che la mia liberazione non è un fatto solamente
personale- individuale, ma è soprattutto un fatto comunitario, sociale, un
rapporto dialettico tra me e gli altri, e che non è un fatto di un giorno, di
un mese, di un anno solamente. E’ un processo continuo, legato alla continuità
della mia condizione di omosessuale, di emarginato, di oppresso dal regime
capitalistico patriarcale.
Vorrei
domandare a tutti quei/quelle compagni/e omosessuali aderenti nel passato al
FUORI!, al COM o ad altri collettivi e che oggi sono individui “sciolti”, “disimpegnati”, se per loro la
liberazione sessuo-sociale è già giunta per cui non hanno più motivo di
“sbattersi”. Non credo proprio. Molti avranno diverse critiche da fare nei
confronti del FUORI!, ma non si può certo disconoscere al FUORI! di aver creato
una presenza politica su tutto il quadro nazionale, di aver assicurato una
presenza, anche se più o meno attiva secondo le situazioni, costante e
crescente dal 1971 ad oggi, di aver creato veramente un MOVIMENTO di
LIBERAZIONE OMOSESSUALE.
A questo
ha contribuito molto l’utilizzazione di sedi fisse quali quelle del P.R.
(sempre disponibili al formarsi o al riformarsi di collettivi, quindi punti di
riferimento stabiliti con relativi mezzi di comunicazioni quali telefoni,
ciclostili ed in molti casi radio. Ma ancora di più penso che abbia contribuito
la presenza continuativa dagli anni passati a tutt’oggi di alcuni/e compagni/e
omosessuali i quali con le loro consapevolezze acquisite, approfondite e rese
comunitarie (senza paure di confrontarsi continuamente con persone e situazioni
nuove o più o meno nuove) hanno fatto in modo che non si ripartisse sovente da
zero, ma, se pur lentamente il MOVIMENTO progredisse, maturasse e si
allargasse.
Tutto
questo non lo si riscontra invece nell’ambito dei collettivi “autonomi”che
della precarietà e della saltuarietà ne
hanno fatto un metodo politico, pagandolo, a mio avviso, a duro prezzo. Ed in
questo gioco sono stati coinvolti sovente anche alcuni collettivi del FUORI!.
A questo punto viene da domandarsi
come molti omosessuali abbiano vissuto o vivano il loro rapporto con i gruppi
gay. Nel rispondere mi pare essenziale partire da me stesso, per poter meglio
comprendere le realtà altrui.
Il mio impatto con il FUORI! nel
lontano ’72 fu soprattutto razional-politico o nei termini proprio più
astrattamente ideologici (come si addiceva ad
un non superato sessantotto) e poco disposto a scendere sul
“personale-politico”, sulla mia vita quotidiana, sui miei bisogni-desideri. Questa tendenza durò per
non molto e il momento personale, piacevole e ludico ben presto prevalse.
Un “politico” disalienante in cui l’aggregazione con altri omosessuali
era il punto basilare. Trovarmi con degli amici/compagni froci finalmente e tra
froci scoprire-analizzare la mia condizione quotidiana di oppresso, emarginato,
deriso. Sorgeva l’esigenza anche con delle femministe di giungere ad una vita
comunitaria integrale, cosi che partecipai ad una comune gay-femminista. Il
momento “politico-serioso” intanto era ormai completamente sovvertito da
“spettacolare-provocatorio”. Interventi da travestito per le vie di Torino, nei
locali pubblici, nei teatri, nello “psichedelico” dei festival pop
dell’underground italiano. Il gruppo erano gli amici con cui mi vedevo, stavo
bene assieme, con cui cambiavo la mia vita.
Nel ’74 la mia consapevolezza di
gay si era decisamente affermata, la “presa di coscienza” era avvenuta, il mio
personale aveva vissuto e consumato i momenti più spettacolari e divertenti
della “dirompenza” omosessuale. Ero avanzato al di là di quello che realmente
il contesto sociale riusciva a recepire. Per cui mi si imponeva una svolta o la
fuga o il confronto tra le mie acquisizioni e la condizione sociale generale
della sessualità. La scelta era la fuga. Così per due anni me ne sono andato in
giro per il mondo. Nel ’76 ritornavo in Italia con il desiderio e la voglia di
affrontare fino in fondo questo confronto lasciato in sospeso. Ecco, quello che
viene fuori dal mio vissuto e da quello che io ho visto incontrandomi per l’Italia con gli
omosessuali dei diversi collettivi è che ci sono due momenti nel rapporto
froci/gruppo. Uno è quello del “auto liberazione” o del “personale”, l’altro
quello dell’intervento “esterno”, della lotta contro le “strutture” sociali del
regime maschilista-patriarcale.
Sul primo momento si basano e si
formano le adesioni ai gruppi, si fondano le attività di “presa di
consapevolezza si tirano fuori finalmente i desideri e le ansie, si riaggregano
froci e lesbiche che il regime vorrebbe isolati e silenziosi. E’ la scoperta
del “Omosessuale è bello”, del “ORGOGLIO OMOSESSUALE”. Questo è per molti,
però, anche l’unico significato del
“collettivo”, un momento propriamente di visione individualistica, di
“consumismo individualistico” raggiunto il quale finisce tutto e il gruppo
cessa di avere un senso.
Molti se ne ritornano ai propri “trip”
individuali, ai ghetti della propria vita individuale.
Chi flippato, chi scazzato, chi
per dedicarsi alla comune (un po’ in declino), chi per fare lo scrittore, chi
per dedicarsi solo al “grande amore”, chi per diventare una “star” teatrale,
chi per andare a Londra, ecc…Giustissimo, ognuno ha i suoi momenti. Ma così il
ritrovarsi per incidere sulle realtà sociali dell’oppressione omosessuali, sul
quartiere, sulla scuola, sul posto di lavoro, sugli istituti manicomiali, sulle
norme giuridiche e sulle mille altre realtà della vita quotidiana svanisce
ancora una volta.
La liberazione sessuale a livello
sociale, popolare e politico continua a non essere la finalità macroscopica di
troppi collettivi gay ( o meglio di troppi gay).
Mi ritrovo, e ci-ritroviamo
così allo squallore immutato dalle piccole quotidianità oppressive, allenanti anti-gay
che come dieci, quindici anni fa danno come sbocco la morte: a scelta quella
fisica o quella esistenziale. Che bella scelta! Si impone una svolta, compagni
gay.
Enzo Marcone
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