sabato 9 aprile 2016

BUSI: al gay pride "Vestitevi con gli abiti di tutti i giorni di lavoro" (il che resta comunque un problema con travestiti e trans che, secondo me, con questa giornata e con l'omosessualità non hanno niente a che fare, come, storicamente, niente hanno a che fare le lesbiche con la rivolta di Stonewall - evitino, quelle, almeno quel giorno, le tute da camionista e da gruista)."




              Prepariamoci al 28 Giugno. E’ ormai venuto il momento della trasgressione ultima: assumerci l’impegno di adesione al comune patto sociale con la nostra blanda quotidianità, con i “travestimenti” riconosciuti che di noi fanno veri cittadini.”    

 

 

 
dal mensile BABILONIA 1997
 

 

l'articolo di ALDO BUSI su BABILONIA 1997
                 Porto le mani avanti, visto che bisogna prepararsi spiritualmente e, soprattutto, sartorialmente alle manifestazioni del 28 Giugno, festa dell’orgoglio omosessuale: nel 1997 bisogna fare voto di modestia e di coraggio, cioè di normalità e di controcoglioni fino in fondo. Travestirsi un giorno da leoni per campare gli altri 364 da pecore da circo è, ormai e irreversibilmente, da vigliacchi. La diversità sessuale (?  e metto un punto di domanda, perché spesso l’unica differenza fra un maschio omosessuale dichiarato e un altro qualsiasi è, per l’appunto, che il primo è dichiarato – salvo, altrettanto spesso, essere un omosessuale che va anche a donne…) non è una diversità sociale in nulla e per nulla.

                   Alla parata – che non so dove si svolgerà – niente triti e ritriti baloccamenti sull’eterno androgino, quest’anno, nessuna suora, nessun prete, nessuna tetta fuori, nessun travestimento: la parola d’ordinanza è “Vestitevi con gli abiti di tutti i giorni di lavoro” (il che resta comunque un problema con travestiti e trans che, secondo me, con questa giornata e con l’omosessualità non hanno niente a che fare, come, storicamente, niente hanno a che fare le lesbiche con la rivolta di Stonewall – evitino, quelle, almeno quel giorno, le tute da camionista e da gruista).


 

una pagina di LIBERO del 2009 a testimonianza che dopo 12 anni nulla è cambiato
in materia di comunicazione: per fare la cronaca
del gay pride usa le stesse parole di Aldo Busi del 1997

                    E’ venuto il momento di fare paura, non di suscitare scherno e ridicolo e sufficienza, è venuto il momento di dare lo scandalo estremo e non più di limitarsi a dare ai borghesi e ai familisti il contentino spettacolare per le strade (per la gioia di chi, vedendovi conciati da pattumiera femminilissima/mascolinissima e umiliante sia per gli uomini che per le donne, avrà ogni ragione per assimilare l’omosessualità a una forma di baracconata mostruosa o divertente o da compiangere).


 

                  Il cardinale Giordano di Napoli, l’anno scorso, ha avuto gioco facile nel condannare la manifestazione omosessuale (io, per spirito di parte, ho fatto le mie solite dichiarazioni contro di lui e in difesa dei gay, ma mi sono detto che era anche l’ultima volta che una massa di subculturati orgogliosi – del cazzo – avrebbe avuto il mio appoggio indiscriminato), e quanti, ancora indecisi, hanno visto tutte, ‘ste povere sgallettate travestite da chissàche meno che da persone e da persone e da cittadini comuni si saranno detti, “Bé, se questo è l’ambiente che mi si apre, è meglio che aspetti ancora qualche secolo a uscire fuori”.

 

Una LUXURIA ad uno dei primi pride italiani
(BOLOGNA 1995)
con i suoi travestimenti, riuscirà
ad ottenere la visibilità tanto cercata.
                  La diversità, come è stata concepita fino a adesso – e grossa responsabilità, socialmente e politicamente per noi negativa, in questo senso ha l’Arcigay, che organizza le manifestazioni senza un briciolo di filosofia strategica e, anzi, insistendo nello stesso errore strutturale di far scendere in piazza con gli antichi e pacifici stereotipi di sempre – deve oggi lasciare sgomenti i bigotti e i reazionari per la sua blanda quotidianità, la sua ovvia appartenenza a un comune patto sociale, la sua visibilità politica legata al mondo (e ai travestimenti: casual o giacca e cravatta sono pur sempre degli abiti di scena) di tutti i giorni.

Noi non siamo madri badesse né pin-up né centauri con borchie e belletto, noi non siamo Priscille: noi siamo innanzitutto lavoratori incazzati, contribuenti fiscali incazzati, assistiti sanitariamente (…) incazzati, pedoni incazzati per i predoni da microcriminalità – quando ci va bene.

Se volete fare baldoria, in modo appena appena un po’ meno triste, aspettate un altro Carnevale, non sciupate anche quest’anno la grande occasione del 28 Giugno.

 

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