Volevo i pantaloni: Naked
Party e foglia di fico
di Mattia Morretta
Togliersi di dosso gli abiti feriali o della festa (esiste
ancora la differenza?), una volta assolti i compiti quotidiani o dopo le
riunioni di famiglia e di condominio, per oziare in un dolce far niente per
qualche ora in costume adamitico in un ambiente alla giusta temperatura,
distensivo e gradevolmente arredato, magari se fuori piove o fa freddo. Il
programma potrebbe essere allettante, benché ne sia necessario presupposto la
propensione al cosiddetto naturismo, in assenza della quale la nudità
integrale, propria o altrui, può risultare disturbante e persino angosciante.
E’ giunta sino a noi l’onda lunga della moda, da tempo in
voga all’estero, del nudo a tutte le ore e in tutte le salse, come mezzo di
evasione e di socializzazione con uno sfondo erotico. Nella sua versione di
esigenza o preferenza mi pare un fenomeno tipico del nord, influenzato anche
dai rigori del clima, perché nell’area mediterranea il corpo è largamente
presente nella vita di tutti i giorni e in ogni stagione, la fisicità vi si
esprime più direttamente, non solo laddove le vesti si riducono al minimo col
bel tempo bensì pure ove l’abito diviene una coltre per un preciso messaggio
alla comunità. Per quanto ci riguarda, non è un caso se abbiamo il più ricco
patrimonio di statue di nudo e vantiamo la tradizione delle terme pubbliche di
romana memoria. Da noi le èlite economiche e intellettuali venivano anche a
respirare, se non a vivere, la sensualità per loro “liberatoria” quale polarità
simbolica nel conflitto tra ragione e sentimento, collettività e individuo,
controllo sociale e corporeità.
Dal punto di vista omosessuale, la nudità all’aperto (per
esempio, in zone appartate lungo le rive dei fiumi o in spiagge riservate) è
diversa e ha altre implicazioni rispetto a quella più recente a porte chiuse,
in normali caffè o bar. Gli stranieri sono abituati e propensi a chiedere tra i
servizi nelle località ove svernano o vanno in vacanza il clothing optional, in
piscina e nei villaggi turistici esclusivi. Basta leggere le reclame sulle
guide gay per rendersene conto.
Negli ultimi anni, però, si è imposto come vero e proprio
genere il nudismo da esercizio commerciale, in almeno due versioni, una più
pragmatica (finalizzata alla fruizione sessuale) e un’altra più ricreativa o
relazionale (indirizzata ad alleggerire la formalità e il conformismo
dell’incontro). In realtà, è implicito che la spinta fondamentale provenga dal
narcisismo e che siano prevalenti, oltre che obbligatorie, le componenti
esibizionistiche e voyeuristiche nell’eros degli interessati.
Da un lato, si tratta di una estensione dell’idea di base
sottesa alle saune e ai bagni termali, portata direttamente al capolinea del
tragitto togliendo per così dire quel residuo di velo legato all’asciugamano e
al ricorso ad una giustificazione curativa o salutistica. Dall’altro lato, è in
gioco la facilitazione dell’interazione tra uomini attraverso la riduzione
delle barriere/interferenze sociali e l’aumento dello stimolo dei sensi (a
cominciare ovviamente dalla vista ma senza trascurare l’olfatto). Da quest’ultimo punto di vista, potrebbe esserci
qualcosa di interessante in senso sociologico su cui meditare. Sembrerebbe,
infatti, di avere a che fare con la riproposizione in chave omosessuale e
interna al gruppo gay della teoria del buon selvaggio, con l’apologia della
liberazione dai gravami del condizionamento dell’ambiente. La nudità che ride
(nella parole di Robert Musil) promette umanizzazione, spontaneità, naturalezza.
Secondo tale ideologia, l’essere umano potrebbe rivelarsi più autentico e
flessibile, se lo si mettesse in condizione di non indossare una uniforme,
sostenere un ruolo, difendersi dal giudizio della pubblica opinione. Ridotto al
suo fondamento corporeo e alla pelle quale unico scudo/confine egli sarebbe più
disponibile al confronto e al rapporto, addirittura umile e disposto a
riconoscere la base comune dell’identità. Sarebbe dunque la rivincita
dell’individuo sulle costrizioni e le imposizioni della massa, il che vale a
maggior ragione per gli omosessuali nel loro “mondo” separato e a pagamento.
Invece di manipolarsi e usarsi nel buio e nell’impersonalità più alienanti,
essi potrebbero condividere spazi e tempi “liberi” da impegni e calcoli
(compresi quelli della ragioneria sessuale), stando comodamente seduti di
fronte o accanto, piuttosto che passeggiando a ritmo lento, in piena luce o a
media luce, senza altro vestito che le proprie espressioni facciali e altro
biglietto da visita che il nudo corpo. E’ il giardino dell’Eden prima della
cacciata?!
Nei fatti cosa accade a casa nostra, ad esempio nella Milano
da bere ( a piccoli sorsi, pena l’avvelenamento garantito)?! Ci attendono
scenari da El jardin de las delicias di El Bosco o da Le tentazioni di Sant’Antonio
di J.Bosch?! In città sono alcune saune e diversi bar con vocazione hard a
proporre da qualche anno il naked party. Le prime si direbbe più per
risparmiare le spese degli impianti idrici, della lavanderia e della
illuminazione, che non per andare incontro alla voglia dei clienti di fare
sesso senza troppe scuse e giri a vuoto. I secondi per attirare consumatori
mostrandosi più spinti e trasgressivi, osando infrangere gli ultimi tabù contro
l’approccio sessuale diretto, ritenuto l’unico collante e la vera meta degli
omosessuali di qualunque età ed
estrazione. I commercianti spregiudicati dell’ultima ora non hanno dubbi.
“Sappiamo di cosa avete voglia e come soddisfare le vostre esigenze col minimo
dispendio di energie (il denaro, si sa, va speso a cuor leggero). Ci pensiamo
noi, voi dovete metterci solo il coraggio di varcare la soglia e sentirvi
protagonisti (comparse) nelle nostre location. Provate per credere. Grazie alla
tessera Arci e al biglietto d’ingresso con o senza consumazione, il limite residuo
alla vostra liberazione in quanto gay è superato e dopo potrete orgogliosamente
dire di esservi messi a nudo in senso letterale per la causa”. C’è la serata
infrasettimanale e c’è quella festiva, per tentare di vivacizzare un calendario
altrimenti povero e monotono, ma il risultato finale è comunque la scadenza
fissa, perché è inutile sforzare la memoria visto che sono le abitudini a dare
sicurezza. Così, conoscendo la tipologia di prodotti in offerta e la
dislocazione dei reparti, ci si può distribuire in base alle preferenze e la
frequentazione è più ordinata e codificata.
Del resto, nelle città europee ove il tempo da dedicare al piacere è altrettanto strutturato di quello da destinare agli affari e ai soldi, vige la diffusione gratuita nei quartieri gay di agende piene zeppe di appuntamenti per ogni sera e notte (anche pomeriggio), con tanto di fasce orarie, differenziate per tipo di esercitazione erotica (alcune definibili a buon diritto “eroiche”), per codice di abbigliamento o look, per ogni gusto e disgusto.
Del resto, nelle città europee ove il tempo da dedicare al piacere è altrettanto strutturato di quello da destinare agli affari e ai soldi, vige la diffusione gratuita nei quartieri gay di agende piene zeppe di appuntamenti per ogni sera e notte (anche pomeriggio), con tanto di fasce orarie, differenziate per tipo di esercitazione erotica (alcune definibili a buon diritto “eroiche”), per codice di abbigliamento o look, per ogni gusto e disgusto.
Per gli imprenditori gay d’oltralpe si tratta di lavoro e lo
assolvono con lo zelo dei mercanti protestanti, avendo cura di non perdere del
tutto la faccia o addirittura far bella figura grazie a pubblicità sulla
prevenzione e alla distribuzione capillare dei profilattici nei loro locali
(anfratti compresi, perché si sa l’attimo va colto, sempre).
L’impressione di varietà e divertimento è tuttavia di breve
durata. All’estero il sesso viene oramai parcellizzato fino all’inverosimile,
siamo già alla scissione dell’atomo sessuale, si gratta disperatamente in fondo
della pentola per ricavarne briciole infinitesime di novità o variazione, si è
costretti a erotizzare qualunque cosa e a inventarsi occasioni di
festeggiamento di ogni pratica o parte del corpo. Non avendo altro da tradurre
in prodotto e vivendo dello sfruttamento dei “bisogni” sessuali (per i gay non
esistono orologi e cicli biologici: sex forever whatever wherever), è
giocoforza creare in laboratorio le
opportunità e le declinazioni all’in-finito sul tema del godimento erotico, del
pene e dei buchi, dei liquidi organici e dei cosiddetti giocattoli (sovente
strumenti di tortura: perché il sadomasochismo dovrebbe essere normale per un
omosessuale?).
Per questo, forse, trionfano i servizi web e le linee
telefoniche di contatto immediato o sotto forma di caselle vocali, segreterie o
altro. La vana speranza è quella di sottrarsi alla schiavitù del passaggio
obbligato (con aggiunta di alcolici e droghe) nei soliti posti, alla
intermediazione degli incontri ad esclusivo vantaggio dei gestori, alla fedeltà
a presunti stili di vita. Presi singolarmente, però, la gran parte dei gay non
sa più che pesci pigliare (sit venia verbo), annaspa tra finzioni sentimentali
e copioni pornografici, nel faccia a faccia senza la cornice della riserva
territoriale fatica a trovare fondamenti all’identità e cade nelle trappole
dell’isolamento e della ghettizzazione senza aperture o prospettive culturali. Per una verifica sul
campo da antropologo dilettante e per curiosità personale ho presenziato tempo
fa ad uno di tali “party” in un noto bar nella semi-periferia cittadina, di
domenica per poter accedere dalla sauna attigua – l’ultima offerta è, appunto,
l’incrocio degli ambienti contigui al primo piano e la mescolanza dei diversi
tipi di clientela. L’idea di lasciare gli abiti in un sacchetto e tenere le
calzature mi pare, infatti, disagevole oltre che comica; d’altronde, è assurdo
che gli avventori del sex club sia consentito di portare sporcizia e microbi
con le loro scarpe negli spazi della sauna, vanificando quel minimo di igiene
auspicabile. Se l’intento è quello di accorciare le distanze e rendere più
naturale o spontaneo il contatto interpersonale, la realizzazione pratica è un
insulto alla fantasia erotica e al relax.
Qui, il detto mens sana in corpore sano vale a rovescio,
cioè è confermato nella variante patologica. Una mente bacata trasforma di
fatto il corpo in un involucro vuoto o un robot metallico. I convenuti sono per
lo più dediti ad un moto convulso, il nervosismo traspare dalle movenze e dagli
sguardi, la frenesia motoria dà sfogo all’irrequietezza interna. Gli ambienti
della zona bar sono di una bruttezza angosciante, pur nella penombra o sotto le
luci rossastre. Sostare, effettivamente, è doloroso, perché le pareti e i vani
nel loro complesso sono cornice inappropriata per la pelle dei corpi pur sempre
umani, anche solo dal punto di vista estetico, vedere giovani e uomini di mezza
età ignudi e lividi fa venire in mente bettole malfamate in paesi del terzo
mondo, ma anche lupanari di infima categoria, e ancora favelas o slum in cui
regnano miseria e degrado. L’andirivieni da una zona all’altra, nell’unica
accezione della caccia al potenziale partner sessuale, trova una parziale pausa
nelle esplorazioni delle camere completamente buie poste alle due estremità del
locale. Una di queste comprende una sala con proiezione su schermo gigante di
video pornografici, ricavata ricorrendo a pesanti tendoni scuri, che creano ai
lati due corridoi stretti per coloro che vogliono giocare a fare i guardoni.
Minuscoli box di compensato, dotati di fori ad altezza d’inguine, si susseguono
per dare l’effetto “labirinto” (poveri noi, che approssimazione
architettonica). C’è da chiedersi come si possa trascorrere in luoghi tanto
poveri e deprimenti più i un paio d’ore giusto una volta ogni tanto. Ciò che,
tuttavia, appare più accettabile immaginando persone con indosso agli abiti,
diviene quasi intollerabile nella constatazione diretta dell’effetto
dell’ambientazione volgare e svilente su corpi nudi. La pretesa di spontaneità
è annullata dall’artificialità della messinscena a puro scopo di consumo
sessuale, e d’altronde i clienti hanno pagato per delegare ai gestori la
confezione e il contenuto del prodotto, si beano della passività e della
de-responsabilizzazione, incuranti delle conseguenze a breve e a lungo termine
(colgono tutti il momento, è ovvio). Si capisce subito che qui la finalità
della parata senza vestiti è di fare in modo di trovarsi già pronti per un
sesso sbrigativo e frettoloso, saltare tutti i preamboli a andare al sodo.
Eppure, se è solo questione di usare il membro o i buchi organici, perché
essere nudi? Per far cadere in tentazione più rapidamente o per
mostrare/svelare l’oggetto del desiderio (non è che poi l’oscurità consente
molto l’utilizzo degli occhi!)? Il pene e le natiche sono in tal modo esposte
alla valutazione veterinaria e all’asta dell’erotismo in svendita?!
Qua e là, a parte i cunicoli (ogni quanto vengono puliti?),
c’è qualcuno che dà spettacolo attraverso le porte aperte di piccoli camerini
con monitor sempre accesi, dalla lipodistrofia evidente sui volti non pochi
sono della parrocchia Hiv. Più che da arrossire, c’è da impallidire perché si
ha l’impressione di girare tra le quinte del set cinematografico di un thriller
scadente.
Al contrario di quel che ci si aspetta. La visione
dell’insieme e dei dettagli corporei finisce per inibire l’immaginata
stimolazione erotica, la pretestuosa democrazia del nudismo sessualizzato è
sopraffatta dalla sollecitazione di repulsioni, idiosincrasie, predilezioni
squisitamente fisiche. Tastare nel buio e cercare/offrire solo il genitale (o
l’ano e la bocca) è un conto, toccare un corpo fatto in un certo modo e
appartenente ad un preciso individuo è un altro. Inoltre, per molti non è
facile sottoporre con disinvoltura il pene all’osservazione puntigliosa della
concorrenza e di un pubblico notoriamente esigente su tale mercanzia. Per
questo ai più “timidi” (così dice la pubblicità) è consentito di indossare slip
o costumi da bagno (che pasticci e contraddizioni grossolane!).
Si prova un senso di pensa in generale per la carne umiliata
nonostante le muscolature da palestra e i portamenti da maschioni vanitosi, in
particolare colpiscono i corpi
sgraziati, eccessivi nella magrezza o nella pinguedine, i ragazzi poco più che
ventenni spauriti o al contrario spudorati, i più maturi stanchi di recitare la
parte oppure servi superbi del sesso dio-padrone. Son tutti officianti di un
rito senza liturgia né iniziazione, non c’è apprendimento possibile, è esclusa
la vanta cultura del corpo e persino del piacere. Manichini per giunta privi di
braccia e di testa, burattini i cui fili sono retti a loro insaputa o col loro
consenso informato dai programmatori di professione della vita erotica della
minoranza gay. Dopo aver creduto di essere destinati alla repressione o alla
clandestinità, essi si ritrovano tra le mani il potere di gestire la sessualità
in territori e riserve loro destinati con approvazione sociopolitica, da spendere
come moneta corrente in supermercati del divertimento compulsivo. Quanta
libertà sprecata! Ci si può accontentare della consueta scusante di essere
cresciuti con dentro rabbia e frustrazione perché costretti a misurarsi col
pregiudizio o con l’assenza di modelli positivi di identificazione?! Si
consolino gli adulti di oggi, comunque, perché quelli di domani avranno come
figure di riferimento politicanti senza scrupoli, travestiti e tran gender
prezzolati dalla Tv, conduttori televisivi agguerriti e violenti, opinionisti
di partito, consulenti d’immagine di grido, mantenuti nullafacenti pieni di
droghe sintetiche, e via orripilando.
Il confronto con quanto accade all’estero è istruttivo. Nelle
grandi metropoli straniere l’ultima trovata è bere il thé, svestiti nel bar
gay. Si direbbe il massimo della tradizione e dello scandalo, entrambi
borghesi. L’ideale per paesi protestanti, dove l’ipocrisia è un valore, o per i
puritani, per i quali il sesso è una componente a sé stante, staccata dal resto
della persona e dell’esistenza. Tra gli spunti più frivoli c’è l’ipotesi che
vede nel mostrarsi frontalmente nudi, in piena luce, una fonte di soddisfazione
della fantasie sopite nella quotidianità rispetto a persone incontrate in
società (immaginare come siano fatte al di sotto dei più vari abbigliamenti) Si
potrebbe obiettare che alla lunga si crei una situazione analoga a quella
dell’essere vestiti di tutto punto, perché la fomalità prende necessariamente
il sopravvento, anche giustamente. In questo senso, mi sembra si possa
affermare che sia in gioco un tentativo di tipo omeopatico di de-sessualizzare
sia la nudità che la relazione, a distanza o da vicino, tra uomini omosessuali.
La vita in comune, infatti, specie se stretta e in piccoli gruppi, inibisce
l’investimento sessuale dei più prossimi e rende più difficile il passaggio
all’atto. Inoltre, l’esposizione ripetuta allo stimolo della nudità dovrebbe
sortire l’effetto di una desensibilizzazione e di una smitizzazione della
componente sessuale dello scambio interpersonale. Insomma, una forma di cura
per l’eccesso di identificazione sessuale di cui soffrono i gay soprattutto
cittadini (ma anche i provinciali non scherzano). I campi per nudisti, in
effetti, non servono per facilitare lo scambio sessuale, semmai per gratificare
impulsi narcisistici.
Il corpo nudo non ha scopo o esclusivo significato erotico,
non parla solo di potenziali rapporti o gesti sessuali. La sua valenza in
termini di differenza sessuale (il marchio distintivo dei due sessi) è
inequivocabile, ma non condizione sufficiente ed obbligata per l’atto unitivo.
Per certi aspetti, la curiosità o l’interesse che esso suscita, finanche nelle
sue raffigurazioni pittoriche o scultoree, ha a che fare con la meraviglia di
fronte alla creatura, quindi al rimando all’idea del creatore (a Sua immagine e
somiglianza…) E’ l’umanità messa a nudo, fragile, vulnerabile, e al contempo
misteriosa ed incredibile.
Per questo le sceneggiate di certi naked party fanno
rimpiangere i balli alla corte viennese in uniforme di gala. Mi viene spontaneo
reclamare: ridatemi i pantaloni, perché tanto sotto il vestito c’è il niente…
Mattia Moretta (novembre 2006)
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