ANTONIO DI GIACOMO intervista Giò Stajano presso Frida un’amica di Roma il pomeriggio del 16 dicembre 1995
Stajano e Gullotta alla festa di compleanno di Consoli nel 1995 |
D. Giò Staiano
definito da Massimo Consoli, la “madre
del movimento gay italiano”. Sei d’accordo con questa definizione?
R. Beh, non è completa. Stajano è la madre di tutte le battaglie per
la liberalizzazione dei gay in Italia. Vedi,
l’otto novembre scorso, il quotidiano Il Tempo ha pubblicato con gran rilievo,
mezza pagina con fotografia, la notizia del mio avvenuto decesso per AIDS.
Notizia che, evidentemente, doveva essere falsa dal momento che sono qui oggi a
parlare con te, ad un mese di distanza Qui a Roma, dove sono venuta per
incontrarmi con il mio avvocato, per sporgere la denuncia-querela contro questo
giornale per diffusione di notizie false e diffamatorie. Poi, quando sarà
accolta alla Procura della Repubblica e stabilito il giorno dell’udienza, ne
riparleremo. Intanto sono viva e sono viva da più di mezzo secolo. La mia prima
nascita, come uomo, risale all’11 dicembre 1931 e la mia rinascita, come donna,
cinquant’anni dopo, è dell’11 novembre 1981. Dunque cosa volevi sapere?
D. All’interno dell’Archivio
Massimo Consoli stiamo portando avanti un lavoro, uno studio, che abbia
come scopo principale quello di conservare la memoria storica del movimento gay
italiano e della realtà gay del nostro
passato, attraverso la viva voce dei suoi protagonisti, sia che si tratti di
personaggi famosi che di illustri sconosciuti che hanno qualcosa da dire, da raccontare.
E’ un lavoro importante che non ha mai fatto nessuno e che verrà conservato presso l’archivio Consoli:
non potevamo che cominciarlo proprio con Giò Staiano.
Giò puoi parlare
liberamente al microfono ed il sottoscritto cercherà di interromperti il meno
possibile.
Com’era la vita dei
gay negli anni della “Dolce Vita”?
R. La vita dei gay, negli anni della dolce vita non
esisteva. E questo perché dal 1950 al 1960, i gay in Italia non
esistevano, almeno ufficialmente, si ignoravano. Si scopriva l’esistenza di
qualche singolo caso solo in occasione di qualche fatto di cronaca nera. Per
esempio, se qualche poveretto veniva scoperto in qualche gabinetto pubblico a compiere qualche gesto che non si sarebbe
dovuto compiere in quel posto ( si fa una bella risatina). Oppure, nel caso di
qualche delitto di qualche ragazzo, come successe con il famoso caso del
delitto Lavorini a Viareggio. E in
quei casi si parlava dell’omosessuale come di un turpe individuo che
apparteneva al sottobosco del torbido e corrotto ambiente di quella specie di mostri mitologici.
D.Quando sei approdata in una grande città come Roma?
Sono venuta a Roma per l’università nel 1951-52. Provenivo
da una famiglia perbenissima italiana, con degli ascendenti illustri: mio nonno, Achille
Starace, (il padre di mia madre) era
stato il segretario del Partito Fascista dal 1931 fino al 1939, poi fucilato
con Mussolini a Milano a Piazzale
Loreto. Quindi una famiglia di prestigio con principi dell’ortodossia più
rigida. Però, quando a 16 anni nel collegio dei Gesuiti, fu evidente la mia
tendenza omosessuale, si ricorse a delle cure endocrinologiche, con piccoli
interventi d’innesto di ormoni maschili, allora praticato da un famoso chirurgo
dell’epoca, il prof. Nicola Pende,
che garantiva la guarigione; allora l’omosessualità era considerata una malattia.
Guarigione che regolarmente non avvenne!
Questo innesto d’ormoni maschili produsse soltanto
l’infoltimento della barba che allora cominciava a crescere e che mi ha
afflitta tutta la vita ( Giò si fa una bella risatina) e niente altro.
D. I tuoi allora come reagirono?
Allora, vedendo l’inutilità di queste cose, i miei
familiari, per primo mio padre, accettarono la mia condizione psico-fisica,
perché da persone intelligenti capirono che non era un vizio, una malattia, ma
era stato di natura contro il quale non c’era niente da fare. E non fui più ostacolata.
Quindi continuai a vivere in famiglia con l’affetto e il
rispetto dei miei familiari e dei miei fratelli. E venni a Roma per l’università.
Naturalmente,dopo gli anni del collegio, questa vita sempre condotta sul
binario della rettitudine, priva di libertà, per la prima volta sola e libera,
padrona di me stessa, (io parlo al femminile, ma allora ero un ragazzetto), e
quindi assaporai appieno questa libertà e dell’università non me ne curai
affatto. Ti ricordo ancora una volta che allora gli omosessuali non potevano
manifestarsi liberamente e quindi io che avevo questo atteggiamento effeminato,
poi essendo afflitta dall’acne, il dermatologo mi aveva dato una polvere
medicamentosa però leggermente rosata ed essiccante sul viso, sembrava che
fosse cipria. E quindi suscitavo l’attenzione degli altri universitari goliardi
e quindi, pensa tu, gli scherzi e le ironie…. Anche se non ci fosse stato
questo fatto, la vita goliardica pretendeva la promiscuità di uomini e donne e
quindi il dover parlare di donne, avere la ragazza.. tutte cose che a me davano
un fastidio proprio epidermico. E quindi non mi sentivo a mio agio e tutto
questo mi fece allontanare dall’ambiente universitario.
E pian pianino, nel centro di Roma, Piazza di Spagna, Via
Margutta, cominciai ad incontrare gli
altri omosessuali, perché non è che non esistessero, però bisognava
riconoscersi con dei piccoli segni,
come i cristiani ai tempi delle persecuzioni… Una volta individuati, si
stabiliva una solidarietà reciproca e si finiva con il frequentarsi in piccoli
gruppetti. All’inizio ne scoprii e loro scoprirono me, cinque-sei in tutta Roma
(risatina) e quindi ci si incontrava in via Veneto, Piazza di Spagna e si
passavano le giornate insieme. Si andava molto al cinema: c’erano dei cinema
particolarmente modici dove si pagava dalle tre alle cinquecento lire e si
potevano vedere anche due film nello stesso giorno. Erano frequentati da
militari in libera uscita e gli incontri erano facili, perché anche per gli
eterosessuali era difficile incontrare ragazze. A quell’epoca, per avere un
rapporto sessuale con una ragazza perbene, che non fosse una prostituta di una
casa di tolleranza, bisognava fidanzarsi, sposarsi (risatina) E quindi i
rapporti sessuali con ragazzi perbene, d’aspetto gradevole..Perchè poi il
militare si faceva a 21 anni e c’erano dei ragazzi di 24,25,27,28 anni e i
rapporti erano facilissimi.
Giò Stajano ai tempi di Men |
D. E allora la risposta è scontata ma te la devo fare lo
stesso : Non si parlava di FUORI, Arcigay, locali, associazioni varie , riviste del settore come Lambda, Babilonia e chi più ne ha più ne metta..giusto?
R. Ma neanche per idea, ma come te lo sogni scusa (ride).
C’era, te l’ho detto, la fortuna di riconoscersi. In tutta Roma, a quell’epoca,
eravamo un gruppetto, cinque, sei, otto, non di più… a dieci non si arrivava. E
sotto un certo aspetto era anche una fortuna perché tutto il materiale umano
maschile era disponibile solo per noi
(ride)..C’erano delle riserve enormi di virilità di cui usufruire (ride). Fra
gli altri, l’unico autorevole omosessuale, a quell’epoca, perché aveva avuto
una storia con il suo segretario, era un amico di famiglia, deputato
monarchico, l’onorevole Vincenzo Cicerone, che affettuosamente chiamavo
Zia Vincenza. E lui era stato protagonista di uno scandalo: aveva sparato al
suo segretario perché aveva avuto l’ardire di annunciargli che voleva sposare
una donna, dopo aver avuto una relazione sentimentale con lui e di aver avuto
grandi vantaggi da questa relazione.
Come se non bastasse, dopo questo episodio, lui aveva un
amico anch’egli omosessuale, Renato Moranzani, qui parliamo però di persone di
una certa età, oltre i trent’anni, perché per noi, in quegli anni, oltre i
vent’anni erano già anziani.
Questo era una specie di press agent, si interessava di
lanciare nel cinema giovani attori e attrici ed era omosex. E organizzava a
casa dei piccoli ricevimenti a cui partecipavano molti sportivi tra i quali i
giocatori della Roma. Naturalmente c’era anche qualcuna di queste aspiranti
attrici, ma non un granchè e quindi la parte erotica per lo più andava a
beneficio della zia Vincenza. Infatti, dopo questi piccoli ricevimenti a casa
di Renato, il gruppo migliore dei suoi ospiti, i giocatori della Roma, andavano a finire la serata in
casa della zia Vincenza, dell’onorevole, che li accoglieva vestita da Geisha,
con profumi orientali e chimono giapponesi. E quindi zia Vincenza e Renato
divoravano questi giocatori della Roma, la quale Roma, come squadra di calcio,
quell’anno retrocesse in serie B (risatina).
E quindi i tifosi infuocati, quando vennero a sapere come
passavano le serate i propri beniamini, assediarono la casa della zia Vincenza,
la volevano linciare, tantoché non potè più circolare per Roma e per qualche
mese dovette scappare in America, per far passare questa ondata di furori
sportivi contro di “lei”.
D. Hai cominciato a dipingere da giovanissima, una vera
passione che coltivi ancora oggi..
Sì, a via Margutta avevo conosciuto Novella Parigini perché avevo
appunto tendenze a dipingere, cominciai
a partecipare alle mostre con i miei
quadri. Avevo adottato un abbigliamento consigliato da Novella, un po’ vistoso,
tutto nero, pantaloni nero, pullover nero accollato che poi fu quello che
figurò nel film “La dolce vita” con catenelle dorate e bigiotteria sul collo. E
quindi questa figura che non si era mai vista in giro per Roma, era un
abbigliamento adatto per una donna, cominciai ad essere fotografato sui
giornali. Poi il fatto di essere il nipote di Achille Starace, veniva sempre
citato, come termine di confronto, questo nonno che aveva auspicato la maschia
gioventù italiana e questo nipote che tutto poteva sembrare, tranne che il
prodotto degli auspici (risatina). Cominciai ad acquistare una notorietà. Poi
nasceva quella che Federico Fellini chiamò la
Dolce Vita. Ci si incontrava nei caffè di via Veneto con Novella, venivano
dei nobili romani, i principi Colonna, Borghese ed altri, attori, attrici, Linda Cristian e altre. Insomma, questo
gruppetto, il nocciolo duro della dolce vita, dove ognuno aveva un ruolo. C’era
Linda Cristian attrice, principi, i playboy e, per la prima volta,
l’omosessuale che ero io, che non negavo di esserlo. E quindi come nella
commedia dell’arte ognuno aveva il suo personaggio.
D. Quando nasce Giò
anche come scrittrice e
giornalista?
Nel 1959 scrissi il
mio primo romanzo che s’intitola “Roma
Capovolta”, che fece grande scalpore e venne sequestrato dopo un paio di
mesi. La prima edizione andò a ruba. Come uscì la seconda edizione, fu
sequestrato, processato e mandato al rogo.
Così Federico mi volle per la Dolce Vita, insomma io diventai il
simbolo, l’unico omosessuale italiano esistente (risata). Poi sotto questo
aspetto, non si parlò più di università e cominciarono ad offrirmi
collaborazioni ad alcuni giornali come “Lo Specchio”, un settimanale del genere
“Novella 2000”
di oggi, che si occupava di scandali. Siccome io ero al centro di
quell’ambiente, potevo fornire queste notizie. Poi, vennero altri giornali come
“Momento Sera”.Nel frattempo, avevo scritto altri romanzi, sempre di argomento
omosessuale e sempre sulla falsariga di fatti veri, di episodi veri.
Dopo il sequestro di “Roma
Capovolta”, scrissi “Meglio un uomo oggi”, che però
l’editore non ebbe il coraggio di pubblicare con il titolo che avevo scelto io,
e lo cambiò con “Meglio un uovo oggi”! Ma anche quel titolo non riuscì
a salvarlo dal sequestro e dal rogo.
Poi scrissi “Le
signore sirene”dove, fattomi un po’ più furba, adottai tutta una metafora
invece di dire apertamente che si parlava di omosessualità. Inventai delle
donne che nascevano con i capelli verdi
e una voce armoniosissima; però, poi erano sterili. Per cui, dalla morale, il
loro matrimonio veniva considerato inutile ed era vietato, visto che non aveva
la funzione di riprocreare.
Il massimo desiderio di queste donne dai capelli verdi, era
quello di avere un auditorio; che la loro voce venisse ascoltata da più uomini
possibili. E anche questo venne vietato era considerato immorale, in quanto
distrazione dai doveri familiari. Una volta creati questi personaggi, si
sviluppavano delle vicende. Una delle sirene ero io. Alla fine, visto che
queste erano sempre più sicure di sé, ed erano diventate troppo petulanti ed
invadenti, fu ordinato il loro sterminio e vennero tutte soppresse in vari
modi. Tutte, meno due che si salvarono rinchiudendosi in un armadio, ma non
riuscendo, però, più ad uscirne. Dopo due anni furono rinvenute mummificate e
vennero esposte in un museo con la dicitura “appartenenti alla specie umana,
però non si riproducono, ma si moltiplicano”.
Nel ’68 scrissi “Roma
erotica”, e poi “Il letto stretto”dove
avevo rivolto particolare attenzione al lato psicologico. Quest’ultimo libro
raccontava la vicenda di un eterosessuale che aveva incontrato un omosessuale
con il quale aveva intrecciato una relazione semi-platonica e contemporaneamente aveva un’amante, una
donna. Lui voleva conciliare le due cose, cioè avere il coté sessuale
soddisfatto dall’amante donna, e il coté intellettuale, anche sentimentale,
soddisfatto dal giovane amico. Una situazione che andava bene per lui, ma non
per gli altri due. Perché la donna voleva anche essere considerata come
soggetto affettivo e l’omosessuale anche dal punto di vista sessuale.
Per questo il titolo del libro era “il letto stretto” perché
non c’era posto per tutti e due.Ebbe molto successo (il libro) ed aiutò la condizione degli omosessuali dell’epoca.
D. Poi arrivò la collaborazione “rivoluzionaria”con MEN di Adelina Tattilo
Sì, nel 1971 l’editrice Adelina Tattilo mi affidò
l’incarico di redattore capo di “Men”che era nato tre anni prima come
settimanale prettamente eterosessuale. Il primo a pubblicare le immagini osé di
belle ragazze discinte al massimo, ad occuparsi di cronaca e di costume, con un
occhio attento all’erotismo. Nato con la rivoluzione del ’68, all’inizio fu
subito sequestrato. Ma il rappresentante ufficiale degli omosessuali continuavo
ad essere io, da solo.
Anche di Pasolini e di altri personaggi, tutti sapevano che
lo erano, ma nessuno si poteva permettere di dirlo ufficialmente. Io, quando i
giornali lo dicevano, non querelavo, perché non ritenevo che fosse un’offesa.
Avrei querelato se mi avessero detto che ero ladro o deficiente. Di
conseguenza, sui giornali e sui cinegiornali ero sempre rappresentato io.
Così per risollevare
le sorti del settimanale Men, perché nel frattempo le vendite erano calate
visto che a tutto si fa l’abitudine, anche alle fotografie delle donnine nude,
la Tattilo ebbe l’idea di affidarmi l’incarico di redattore capo. Pur
continuando il giornale a mantenere la sua impronta, vennero aggiunte delle
pagine dedicate agli omosessuali. E fu un successo strepitoso.
Inaugurai una rubrica dal titolo “il salotto di Oscar Wilde spolverato da Giò Stajano”, dove, sulla
prima puntata inventai la corrispondenza a cui rispondere. Dopodiché fui
sommersa da una valanga di lettere. La tiratura del giornale aumentò
vertiginosamente visto che non solo gli omosessuali nascosti lo compravano, ma
anche gli etero scoprirono questo mondo che incuriosiva, che divertiva. Perché
prendevo le cose sdrammatizzando. Anche se poi arrivavano lettere drammatiche,
cercavo sempre di trovare una punta d’ironia, anche in me stesso e non solo in chi
scriveva. Così l’editrice mi concesse più libertà ed inaugurai un altro spazio “Lo specchio di Adamo”, dove per la
prima volta, in due pagine, c’erano le foto di ragazzi nudi, con lo slippino,
come un pin-up boy. Le fotografie erano
di un giovane fotografo Roberto Iatti, un mio amico all’esordio.
Alessio Rano, che poi sposò Ornella Muti, fu uno dei modelli
che posò con lo slippino. Addirittura la Banca Commerciale come omaggio ai
clienti che avevano i più grandi depositi bancari, diede all’editrice i libretti
degli assegni nominativi. Così diventai famosissimo e nel frattempo gli omosessuali cominciarono a scoprire di non essere gli unici.
Questa rubrica durò fino al ’75 ed in tutto questo tempo gli omosex capirono di essere tanti e cominciarono a non vergognarsi. Così cambiò anche la mentalità
dell’opinione pubblica. Da Torino, ci fu Angelo Pezzana che mi scrisse
esprimendomi solidarietà e proponendomi di partecipare alla fondazione del Fuori! Gli risposi che andava benissimo
ma che volevo continuare in un giornale eterosessuale, perché l’opera di liberalizzazione si poteva svolgere meglio così,
anziché in un giornale o in
un’associazione che sarebbe stata solo per gli interessati. Poi fu fondata
l’Arcigay e man mano le discoteche
eccetera. La prima discoteca di Roma fu il St. James. Ci venivano da tutta
Italia. E adesso ce n’è una tale ondata che comincio a temere che poi si avveri
la previsione delle “signore sirene”; e cioè che diventino talmente tante, le
manifestazioni…A Bologna, per esempio, i gay sono al vertice della politica
locale. Di recente, al consiglio comunale è stata nominata la mia amica Marcella Di Folco, che ha fatto il
cambiamento di sesso a Casablanca un anno prima di me.
Marcella Di Folco |
D. Parliamo ora del momento in cui ti arrivò dall’Olanda
il materiale di Massimo Consoli. Ti ricordi esattamente come successe?
Come no. Dopo qualche settimana che avevo pubblicato la rubrica “il salotto di Oscar Wilde e Lo specchio di Adamo”, insieme all’altra corrispondenza, mi arrivò ciclostilata una lettera accompagnata da due righe firmata da un certo ( a me sconosciutissimo, allora) Massimo Consoli, con un resoconto delle sue iniziative a favore degli omosessuali in Olanda, con la preghiera di pubblicare.
Come no. Dopo qualche settimana che avevo pubblicato la rubrica “il salotto di Oscar Wilde e Lo specchio di Adamo”, insieme all’altra corrispondenza, mi arrivò ciclostilata una lettera accompagnata da due righe firmata da un certo ( a me sconosciutissimo, allora) Massimo Consoli, con un resoconto delle sue iniziative a favore degli omosessuali in Olanda, con la preghiera di pubblicare.
Cosa che io feci. Invece di pubblicare la solita
corrispondenza, quella settimana, quando ricevetti la sua lettera, la inserii
senza alcun commento da parte mia. Anzi, mi sembra che aggiunsi due righe in
cui dicevo che mi faceva piacere che Men fosse letto anche all’estero. Ma non
pensavo veramente che tutto ciò potesse avere un seguito. Poi, invece, qualche
anno dopo, quando Massimo tornò in Italia, mi telefonò, ci conoscemmo. E poi lui
fondò l’OMPO’S al vecchio mattatoio,
dove adesso c’è l’Alibi. E da allora è rimasta la mia amicizia con Massimo che
ha dimostrato di essere valido, di lavorare tanto validamente ed
intelligentemente per la liberalizzazione della condizione dell’omosessuale,
per il Movimento, andando oltre il Movimento…
D. Esattamente la
lettera di Consoli cosa diceva?
Conteneva dei ritagli di giornali, per lo più olandesi, con
la traduzione in italiano, fatta da lui, con notizie sulla vita degli
omosessuali da quelle parti. E in più, un
programma vero e proprio compilato da Massimo per quello che avrebbe dovuto
essere il Movimento che poi lui aveva intenzione di fondare.
Massimo Consoli negli anni '70 |
Dopo che lo pubblicai, evidentemente essendo stato letto da
persone come Angelo Pezzana, suscitò anche in loro l’idea. E da lì fu il seme
che diede i frutti.
D. Dario Bellezza lo hai conosciuto? Come avrai letto sulla
stampa, stiamo raccogliendo le firme e mobilitando l’opinione pubblica affinché
gli sia riconosciuto il fondo Bacchelli..
Anche lui lo conobbi quando se ne occupò la stampa. Nel
‘72/73 mi mandò ( o lo fece la sua casa editrice) “Lettere da Sodoma”. Non è che feci una recensione, ma scrissi due
righe di ringraziamento (perché oltre le lettere, sulla rubrica c’erano delle
colonne telegrafiche in cui davo le risposte senza pubblicare la lettera come
“ringrazio l’editore che mi ha inviato il libro di Dario Bellezza “lettere da
Sodoma” che leggerò in compagnia di un pompiere perché la prudenza non è mai
troppa (risatina), temendo una pioggia di fuoco.
Poi, lo conobbi personalmente. Devo dire la verità. Dario
aveva una visione dell’esistenza molto diversa dalla mia che è sempre stata
ottimistica mentre la sua era Pasoliniana, quindi molto pessimistica. E poi
aveva un’intelligenza portata alla catastrofe. Non è che l’abbia frequentato
molto, anche se ci siamo sempre rispettati reciprocamente. E adesso mi dispiace
che stia male.
D. Sei d’accordo che possa usufruire del vitalizio Bacchelli?
Perché no, senz’altro. Ma
tutti dovrebbero usufruirne, non credere che io navighi nell’oro.
Attualmente, pur avendo guadagnato con il giornalismo, i miei quadri, il
cinema, i libri..alla fine sono stati tutti lavori in nero, perché con la mia
condizione di omosessuale, non venivo mai regolarmente inquadrato in una
situazione contributiva. Quando arriverò a percepire nell’anno venturo la pensione sociale, penso che si aggirerà
sulle cinquecentomila lire.
Intanto i miei fratelli e i miei quadri, mi aiutano.Amanda Knering Dario Bellezza e Giò Stajano al Michelagniolo |
Questa intervista finisce qui, caro Giò. Grazie infinite per tutto quello che hai
fatto, in tempi difficilissimi, da sola e senza l’aiuto di questo o quel
partito, di questa o di quella associazione, per le/gli omosessuali e i
transessuali di questo Paese.
http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/23/Festini_omosex_nel_1951_Roma_co_0_9601231712.shtml
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