mercoledì 25 maggio 2016

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DARIO BELLEZZA: APPELLO A RUTELLI PER INTITOLAZIONE VIA AL POETA

AD UN ANNO DALLA MORTE COMMEMORAZIONE A ROMA

Roma, 24 mar. -(Adnkronos)- Ad un anno dalla morte di Dario Bellezza, l'Archivio Massimo Consoli lancia un appello al sindaco di Roma, Francesco Rutelli, perche' al poeta sia intitolata una via o una piazza della capitale.
''Sarebbe una giusta decisione -dice Massimo Consoli- al di la' dell'ovvia grandezza culturale del personaggio, per il suo stretto rapporto con Roma, citta' che Bellezza ha amato disperatamente, anche se alla fine della vita era arrivato a detestarla cordialmente per colpa del degrado fisico e morale nel quale la capitale era precipitata. La sua malattia -aggiunge, rivolto al primo cittadino di Roma- ha visto una gara di solidarieta' per fargli avere i benefici della legge Bacchelli. Una gara alla quale hanno collaborato tutti, a cominciare da lei stesso''.
La figura e l'opera di Dario Bellezza saranno ricordati mercoledi a Roma in una serata al teatro Tor di Nona (ore 16, via Acquasparta). Alla commemorazione, organizzata dal circolo 'Michelagniolo', e' prevista la partecipazione dello stesso Rutelli. Tra gli invitati molti nomi di spicco della cultura: tra gli altri, sono attesi Luce D'Eramo, Dacia Maraini, Barbara Alberti, Nantas Salvalaggio, Alberto Bevilacqua ed Elio Pecora.

giovedì 19 maggio 2016

GRAZIE MARCO!!

 
 
è morto Marco Pannella  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

mercoledì 11 maggio 2016

GIORNATA STORICA NON SOLO PER LA COMUNITA' GAY DI QUESTO PAESE

OGGI  11 MAGGIO 2016 E' CERTAMENTE UNA GIORNATA STORICA PER TUTTI I DEMOCRATICI DI QUESTO PAESE!!! LA CAMERA HA APPENA APPROVATO IL DDL CIRINNA' CHE , NEI PROSSIMI GIORNI, DOPO LA PROMULGAZIONE E LA PUBBLICAZIONE SULLA GAZZETTA UFFICIALE DIVENTERA' FINALMENTE LEGGE.
Le analisi e i commenti  li faremo nei prossimi giorni..
ora si va  a festeggiare insieme agli altri alla Gay Street di Roma (dalle ore 22.00)

lunedì 9 maggio 2016

"Se non ora, quando ? Il caso Dario Bellezza, l'Aids e la macchina"


                 
 
a cura di Valentina Pietrosanti
 
 
Quello che segue è il resoconto  dell'intervento di Dario Bellezza avvenuto durante la conferenza stampa tenutasi il 4 ottobre 1995 presso il Senato della Repubblica dal titolo
"Se non ora, quando ? Il caso Dario Bellezza, l'Aids e la macchina"
Eravamo in tanti quella mattina a dare sostegno a Dario Bellezza. Oltre a Massimo  Consoli e Anselmo Cadelli ricordo, fra i presenti , Dacia Maraini, Barbara Alberti, Alberto Bevilacqua, Raffaele La Capria, Antonio Veneziani, Luigi Cerina, Antonio Guidi, Luigi Manconi.
Antonio Di Giacomo
 
 
 
 
                    Io ho subito due traumi in pochi giorni e questo nei primi di settembre (1995 nda).  Il primo è stata la chiusura di questa sperimentazione, chiamiamola cosi, di questa ricerca. Molta gente in seguito, non sapeva che io facevo questa terapia, né sapeva che io ero, diciamo così” malato”.

 

                   Mi hanno detto ma sei sicuro, ma veramente ti faceva bene? Ora io ho girato, si può dire tutta l’Europa, sono andato anche al Pasteur da Montagnier, questo negli anni passati. Quando ho trovato una cosa che mi faceva bene, io lo dicevo. Quando ho trovato questa terapia  ho sentito che  subito mi faceva bene, ho pensato che, al di là delle spiegazioni scientifiche che io non posso neanche dare perché non sono un esperto, di macchine elettromedicali, ho detto subito a me stesso stai meglio, questo è quello che uno dice a se stesso nel momento in cui fa qualche cosa, altrimenti smette.

                     Se dopo un mese, io mi fossi accorto che questa terapia non mi faceva niente, avrei naturalmente  smesso perché era inutile farla.

 

                     Ecco, questo perché mi sono trovato di fronte allo scetticismo, di tanta gente, anche di miei amici, che pur avendo visto in questi ultimi tempi, sono stato per esempio  quattro cinque  sei mesi al Maurizio Costanzo, e stavo benissimo. Nessuno sapeva che io avevo qualche cosa. E mi dicevano ..ah come stai bene ..se non stavo..se non avevo considerato come stavo prima di fare questa terapia a gennaio..certo non potevo affrontare un Maurizio Costanzo, per dire, dove si vede fisicamente in televisione come uno sta. Ora, ho questo trauma terribile per me, di interruzione, come per uno che fa la dialisi di interrompere  improvvisamente, bruscamente senza nessuna concessione da parte di nessuno di poterla per ora riprendere a meno che il magistrato sia cosi clemente da permetterlo

 

  Sen. Manconi: Cosi  giusto

 

                   Bellezza:   Giusto. Anche perché qui il reato tutto sommato non c’è. Marineo è stato accusato di abuso della professione medica. Ma la professione medica si esercita con gli aghi con le iniezioni, con le ricette, con le visite corporali..con delle cose così. Qui non ci stava niente di tutto questo. Ci stavano dei controlli medici. Se lui voleva sfuggire alla classe medica, certo non ci mandava ogni mese a fare delle analisi, io le facevo al S. Eugenio, dove un dottore  stilava poi  i giudizi della situazione immunitaria e  diceva a me.. sì stai meglio.. stai migliorando, continua a fare questa cosa. Perché in un campo così mi sembra atroce se si stia a chiedere se c’è la legge dalla propria parte, se era stato ( il macchinario nda)  riconosciuto dal Ministero della Sanità, perche siamo in un campo veramente molto  assurdo.

 

                 Dove non c’è una medicina sicura, dove non è che uno viene sottratto a qualche terapia che potrebbe salvarti la vita, al massimo i retro virali che vengono propinati negli ospedali possono ritardare l’infezione. Tutto questo possono fare, non possono fare altro. In quindici anni di ricerca nel mondo, con miliardi e miliardi tirati fuori, non è stato trovato né vaccino,  né medicina, né pillola, né qualsiasi cosa che possa arrestare questo virus. Quindi se qualcuno si affida a  delle terapie alternative non vedo quale sia il delitto. Anzi bisognerebbe incoraggiarle queste cose.

 

                   Questo trauma, va bene, è privato, è personale. Poi però c’è stato il trauma del collettivo, che è pubblico e che è entrato in me. Perché un giornale di Roma, per ben due volte, mentre gli altri giornali si sono limitati a fare la cronaca della cosa e mettere delle sigle, hanno messo il mio nome come malato e con un accanimento e con una ferocia assoluta e  assurda. Perché non c’era nessun bisogno. Intanto non si può. C’è una legge del 1990 che vieta, lo aveva detto Luigi Cerina, che vieta assolutamente anche di poter alludere che uno possa avere una patologia, Quella stessa patologia . Sulla Stampa addirittura  ci stanno “ analisi vietate, 22 ditte rinviate a giudizio dipendenti sottoposti a test aids……..sono stati inquisiti quelli che hanno fatto fare le analisi.

                Dunque  ci sono stati dei grandi monologi che addirittura hanno difeso delle prostitute che sono state denunciate dai carabinieri come sieropositive  perche facevano commercio del loro corpo spandendo il virus. Ora, fosse è un eccesso questo..diventa però autolesionistico nei miei confronti. Perché non c’è stato nessuno di questi dottoroni che ha detto non si può dire questa cosa, non si può scrivere..

                  E naturalmente io sono diventato subito un cittadino di seconda categoria, anzi di terza perché, nel quartiere dove abito molti mi additano, dato che ero conosciuto anche  per altri motivi, mi sono sentito dire aids e naturalmente in me è subentrata una specie di rabbia e depressione e adesso esco poco e niente da casa perché questo impatto, diciamo cosi, negativo, immeritato perché io potevo stare a Vitinia in questo ambulatorio soltanto così, per una  chiacchierata. I Nas  che hanno dato a Stocco a questa  giornalista  Antonella Stocco, cattivissima e crudelissima che spero vada all’inferno, hanno dato, evidentemente hanno passato dei verbali, in questi verbali io non dicevo che ero malato, dicevo soltanto che facevo lì  una terapia per deficienze immunitarie che possono avere tutti, non necessariamente uno deve avere qualcosa di grave per avere deficienze immunitarie. Dunque veramente è stata una prevaricazione, una violenza.

 

                Adesso il direttore del Messaggero mi ha mandato una lettera, ma io neanche la leggo la lettera nemmeno  l’apro perché  il danno è fatto. Prima appaiono sul giornale delle notizie terribili su di me che non posso più uscire di casa e poi arriva la smentita di tre righe che non serve a nulla.

 

                 A questo punto io mi riservo, tutti mi dicono fai la denuncia, ma forse la farò però tanto ci sta ancora tempo. Ma non è questa la mia aspirazione. La mia aspirazione vera è che ho capito che io non ho scelto di dire che avevo qualche cosa. Per esempio Luigi Cerina, che è qui davanti  a me,  ha fatto, giustamente, perché è una battaglia molto giusta ma anche molto pesante voglio dire della sua sieropositività, una battaglia per imporre il problema alla società italiana. Però io, dal mio punto di vista, non sono nemmeno un politico, voglio dire sono solo uno scrittore, e quel ritaglio quotidiano che uno si riserva dove vive, è stato mandato in frantumi.

                  Per cui  ad un certo punto io sto soltanto a letto a leggere un giornale, perché c’ho paura ad uscire di casa. Molti mi dicono ehhh sei esagerato e cedi che te ne frega. Io gli dico ma vorrei vedere a voi se  hai questo marchio in faccia della cosa che cosa fareste. E’ facile parlare però  è più difficile poi trovare un comportamento. Io poi sono sempre stato un tipo, anche perché abituato alla pubblicità, alla televisione, ai mass media etc, abituato e non mi faceva ne caldo e ne freddo. Però a questo punto sì. Perché già c’ho dei motivi per stare male, per cui si aggiunge a quel motivo ulteriori  motivi . Io ho scritto poi appunto perché credo che se adesso  andrò in ulteriori posti, in televisione etc. ma non è sicuro, di rivolgermi direttamente ai magistrati perché  poi alla fine sono quelli che decidono, parliamoci chiaro. Non è che decide pinco pallino per queste cose.

                 E allora io ho scritto questa lettera con cui concludo..

 

 

 mi rivolgo ai magistrati che si occupano del caso Marineo, della sua macchina elettronica, per ricordare che  anch’io, un poeta, sono parte in causa nella faccenda. Il poeta cerca la bellezza, la salute, il fare. Poiein  è il verbo greco da cui deriva la parola poeta che significa appunto fare e soprattutto la verità. Credo che la verità comunichi una sorta di fratellanza la poesia con la giustizia  la ricerca del dolore e della verità-

 

                Ora io se avessi nell’attività di Pino Marineo riscontrato qualcosa di non chiaro di non limpido  me ne sarei andato, non ci sarei andato. Invece dalla macchina trassi subito giovamento, oltre al fatto che non mi fu chiesto un soldo dall’applicazione della macchina. Migliorando il mio stato di salute tornai a scrivere dopo anni di deserto pieno di incubi…tornai a vivere.

                Questa è la mia testimonianza di un poeta. E anche quello che può sembrare oscuro in questa storia è chiaro. Io stesso avevo consigliato  a Marineo di cercare qualche sponsor, qualche donatore spontaneo per continuare un’attività che mi sembra meritoria. Così un poeta si accomuna per un attimo a dei magistrati che devono decidere in totale libertà.

                Ecco la presenza di un poeta in tutto ciò dovrebbe far meditare. Perché costringerlo a non più scrivere in un paese come l’Italia già cosi povero di fermenti culturali? Tutto ciò è terribile. Avremmo spento la penna di D’Annunzio e Pasolini? Avremmo certo commesso un crimine. Allora aiutiamo un poeta  a riprendere le sudate carte  e a scrivere di nuovo. Questo è il mio ingenuo invito a chi deve decidere in tutta questa storia.

 

 

                 E poi appunto voglio aggiungere che, insomma, parliamoci chiaro come si dice a Roma, a me questa cosa faceva bene. Ora uno potrà dire, ma è un effetto placebo ma anche se non lo fosse stato ma non lo era un effetto placebo, dicono che il 90% delle medicine italiane sono  placebo, per cui non capisco perché improvvisamente dovrebbe essere tolta la possibilità a delle persone intanto di vedere come va a finire cioè facciamo altri sei mesi di sperimentazione vediamo quello che succede. Poi se non succede niente, se è soltanto un placebo allora chiudiamo baracca e burattini.

 

                Grazie.

domenica 8 maggio 2016

Usa, la comunità gay contro il sesso a rischio



Ronde e “soffiate” su chi è poco prudente

 

New York  - I gay scendono in campo contro chi pratica sesso poco sicuro. Nonostante le campagne di prevenzione, i contagi fra gli omosessuali negli Usa sono in aumento. Ora che è stato scoperto un ceppo molto virulento di Hiv, secondo il New York Times, gli attivisti della comunità gay hanno deciso di darsi da fare perché gli omosessuali “ a rischio” si assumano le responsabilità dei propri comportamenti.
 
 
 
 
Tra le misure prese in considerazione, c’è l’ipotesi di infiltrarsi nei siti web che promuovono gli appuntamenti fra gay e ostacolare in ogni modo gli incontri al “crystal meth”, una droga sintetica stimolante del sistema nervoso. Ma anche collaborare con le autorità sanitarie per rintracciare i partner di chi è affetto da Hiv.

REPUBBLICA

16 febbraio 2005

I  pride, per quanto belli e sempre più numerosi in Italia, non bastano a farci vincere la battaglia per l’uguaglianza. Occorrono sforzi straordinari, in un momento di oggettiva crisi, e certamente un clima più sereno nei rapporti interni alla comunità glbt.

 

COSA C’E’ OLTRE L’ORGOGLIO?

 

Gianni Rossi Barilli 

agosto 2009

 

 

 

 

Con il pride nazionale di Genova del 27 giugno e con quello di Catania del 4 luglio, (di entrambi gli eventi offriamo una parziale documentazione nelle immagini di queste pagine) si è conclusa la lunga e variegata celebrazione dei quarant’anni da Stonewall. E si presenta l’opportunità/necessità di tracciare un bilancio, utile ci auguriamo per guardare avanti con un filo di prospettiva.

Le manifestazioni in se stesse si sono senz’altro rivelate all’altezza delle aspettative e hanno restituito la fotografia di una realtà glbt che non demorde, anche in momenti oggettivamente difficili come quello attuale, nel pretendere giustizia. In un paese più che mai refrattario all’idea dell’uguaglianza tra le persone e alla certezza delle regole.


Essere scesi in piazza in tanti, dal nord al sud, è un segno di forte vitalità e resistenza civile, eppure il messaggio sembra essere caduto almeno in parte nel vuoto. I pride, a cominciare da quello nazionale di Genova, hanno avuto un ottimo risultato sulla scala locale. Hanno creato dibattito e picconato i luoghi comuni ostili, stimolato una crescita culturale e un prevalente atteggiamento simpatizzante nella cittadinanza, com’era del resto spesso accaduto anche negli anni passati. Ciò che sembra invece essersi inceppato è il ruolo politico più generale delle nostre manifestazioni di giugno. Ormai non siamo più da tempo una novità nel panorama, e i pride fanno ormai notizia più o meno come il raduno degli alpini: belle foto colorate in cronaca e morta lì. La richiesta di parità e laicità, invece, chi la sente più?

Sta forse accadendo da noi quello che è accaduto in molti altri paesi, dove le celebrazioni dell’orgoglio glbt, da dirompente rivendicazione di identità e in quanto tale politica, sono via via diventate una più pacifica festa popolare che ha il grande pregio di attirare un po’ di turisti. La differenza, però, è che da noi l’uguaglianza delle persone glbt è ancora un vago sogno. Sul tema dei diritti siamo sempre al punto di partenza, mentre i progressi sul terreno della convivenza sociale sono troppo spesso smentiti da episodi di violenza e intolleranza.

E noi che facciamo in tutto ciò? Facciamo a borsettaie tra noi. Il movimento glbt, come presumibilmente tutti i gruppi umani organizzati e non, ha vissuto fin dalla sua nascita vivaci e non sempre incruente dialettiche interne. Nulla di strano perciò che ci sia competizione e divergenza tra le persone, e qualche volta anche tra le idee. Il problema è che in un momento in cui ci sarebbe bisogno di uno sforzo straordinario per uscire dal pantano di una realtà che non cambia, darsi alle guerre (anziché alle battaglie) civili, non è esattamente una strategia vincente. Per non risultare incomprensibili, oltre che omertosi, facciamo qualche esempio:




1. Sopravvivono, a un anno di distanza, denunce e controdenunce ereditate dai litigi tra Facciamo Breccia e Arcigay al pride nazionale di Bologna 2008.

2. Negli ultimi mesi abbiamo assitito a diversi round di una lotta senza esclusione di colpi tra il portale Gay.it e i vertici di Arcigay nazionale (a cominciare dal presidente Aurelio Mancuso di cui Gay.it ha chiesto esplicitamente le dimissioni). Abbiamo scelto di non raccontare minutamente i particolari di questo scontro, del resto ampiamente coperto da altri mezzi di comunicazione gay e non, per non essere costretti a prendervi parte e per non contribuire in nessun modo a mantenere alti i toni di una polemica che non condividiamo nei metodi(da ambo le parti) al di là di qualsiasi merito politico.

3. Arcigay, la più forte sigla del mondo glbt nostrano, attraversa un momento di crisi e scontri interni da cui non uscirà nella migliore delle ipotesi prima di gennaio, data in cui si svolgerà il prossimo congresso nazionale. Il che non aiuta a promuovere l’iniziativa politica all’esterno.

Riportando pettegolezzi e malumori potremmo aumentare virtualmente all’infinito il numero degli esempi, ma questi ci sembrano sufficienti a comprendere che il clima di collaborazione nella comunità non è al top. E’ facile attribuire l’introversione dell’aggressività alla difficoltà di agire “là fuori”, ma puntualizzare ancora una volta che i veri nemici da combattere stanno altrove non appare purtroppo superfluo. Ristabilire un clima costruttivo è una necessità, per poter pensare al muro di gomma contro cui rimbalzano da troppo tempo le nostre richieste di parità e per contrastare il sempre più cupo e diffuso qualunquismo secondo cui se tutto fa schifo ognuno fa come meglio gli conviene. Questa è una brutta malattia italiana, e i gay non fanno certo eccezione (anzi), ma non si cura strappandosi la parrucca a vicenda. Godiamoci quindi quello che resta dell’estate e speriamo in un autunno rinfrescante.

GRILLINI: Non ho difficoltà a ripeterlo. Rivendicheremo la chiusura delle saune che non metteranno i preservativi gratuitamente a disposizione dei loro clienti. Dopo dieci anni di Aids non ci possono essere più alibi per nessuno.


ANELLI (BABILONIA)
INTERVISTA GRILLINI  GENNAIO 1993

IL FUTURO E’ ROSA?

 

 

 

 

E’ venuto a trovarmi in redazione, di passaggio a Milano tra un’assemblea a Bolzano e

 un incontro a Genova, sempre in forma e disponibile alla discussione.

Franco Grillini è alla guida dell’Arci Gay da otto anni, prima come segretario nazionale e poi come presidente, ha adesso quasi quarant’anni. Cominciamo subito l’intervista.

ANELLI: Quali sono stati secondo te i risultati più significativi ottenuti dall’arcigay in questi anni?

GRILLINI: In primo luogo il fatto che adesso l’omosessualità è diventata visibile, poi che le rivendicazioni degli omosessuali sono sempre più plausibili. Siamo riusciti ad impedire la criminalizzazione degli omosessuali durante la vicenda dell’aids ed infine abbiamo costruito un’organizzazione con circoli sparsi in tutta l’Italia, oramai più che consolidata, anche al Sud, che tratta da pari con le forze politiche e istituzionali a tutti i livelli.

ANELLI: Qual è secondo te la rivendicazione più importante per i gay?

GRILLINI: Sicuramente il riconoscimento delle convivenze di fatto, quella richiesta anche dalle 10 coppie che l’anno scorso in Piazza Scala a Milano hanno chiesto il “matrimonio gay”. Che si tratti di una rivendicazione importante lo dimostra l’arrabbiatura delle gerarchie vaticane; che hanno citato questa manifestazione come una delle ragioni per cui la Congregazione per la dottrina della Fede ha prodotto l’ultimo documento contro gli omosessuali.

ANELLI: Ma non si è trattato di un caso un po’ isolato?

GRILLINI: Forse, ma è rimasto un caso emblematico che sottolinea come a Milano ci sia una presenza molto forte, dal punto di vista sociale, dell’omosessualità. Comunque, anche se si sa che in altre città è più difficile proporre iniziative di questo tipo, speriamo di ripeterla altrove.

ANELLI: Il discorso della coppia gay propone comunque un problema: l’accettazione di sé. Finché gli omosessuali che rivendicano saranno pochissimi, i risultati avranno un significato più simbolico che pratico. Sei d’accordo?

GRILLINI: Non c’è dubbio sul fatto che l’accettazione degli omosessuali sia la questione principale quando si parla della possibilità per i gay di essere felici. Ed è una questione che non credo che sia di facile soluzione. Noi stiamo provando a favorire il discorso dell’autoaccettazione, del coming out, ma devo dire che in Italia, da questo punto di vista, siamo in una situazione più difficile che in altri Paesi.

Per esempio: a Pargi, New York o Londra ci sono concentrazioni della presenza gay molto forte, che hanno consentito un processo di immigrazione interna e favorito quindi la costruzione della comunità omosessuale, che occupa interi quartieri e che ha prodotto cultura e socialità omosessuale. Questi fatti hanno facilitato in modo eccezionale il “venir fuori” delle persone omosessuali.

ANELLI: Se è così importante l’identità omosessuale come mai avete inserito la denominazione “Movimento libertà civile”?

GRILLINI: Qualcuno ci accusava di essere una lobby, di inseguire solo gli interessi dei gay. Per evitare queste critiche, e per avvalorare il fatto che le nostre battaglie sono utili a tutti, abbiamo aggiunto quella frase.

ANELLI: Quali sono secondo te gli ostacoli più importanti che deve combattere il movimento gay in Italia?

GRILLINI : Innanzi tutto l’influenza del Vaticano che è il supporto più importante alla repressione sessuale. Secondo me l’ultima dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della Fede, che chiede la discriminazione dei gay è paragonabile come portata e come gravità e alle leggi razziali promulgate dal regime fascista nel 1938. Poi c’è la famiglia, che nel nostro Paese mantiene un ruolo oppressivo: la paura di spaventare la mamma e di far soffrire i familiari ancora oggi impedisce a molti gay di vivere pubblicamente la loro omosessualità.

Anche i partiti di sinistra e laici, a cui noi facciamo riferimento, non sempre ci favoriscono (salvo casi particolari come quello di Bologna, in cui la giunta di sinistra ha sfidato l’ira della Curia per difendere il Cassero) non dimostrano grande interesse per le rivendicazioni gay.

E’ chiaro che questi e altri motivi sarebbero poca cosa se gli omosessuali fossero meno succubi dei pregiudizi e più sinceri verso se stessi.

ANELLI: L’arcigay è molto impegnato nei rapporti istituzionali e politici. Con che risultati?

GRILLINI: Il nostro lavoro nelle Istituzioni ha prodotto un grande risultato: adesso esistiamo. Le associazioni gay vengono consultate sempre più per i problemi relativi alla condizione omosessuale; la stampa e la televisione ospitano le nostre opinioni; partecipiamo a decine e decine di dibattiti pubblici.

ANELLI: L’altro versante dove siete molto attivi è quello dei locali: Molti bar, discoteche e saune richiedono la tessera Arci Gay per potere entrare. Non lo ritieni un intervento che potrebbe compromettere l’azione politica e sociale dell’associazione?

GRILLINI: No!  La legislazione italiana permette ad associazioni come l’Arci di aprire circoli per i suoi soci eludendo i problemi delle licenze e quelli fiscali. Questo ci permette di aprire locali anche laddove sarebbe impossibile, stando alle regole del mercato. Anche se non sono circoli culturali, sono pur sempre luoghi di aggregazione, e permettono agli omosessuali di conoscersi, di socializzare, per molti di cominciare a vivere la loro sessualità. Certo dobbiamo essere molto accorti e pretendere dai gestori di questi locali più collaborazione. In particolare per quanto riguarda la prevenzione contro l’aids bisogna pretendere azioni più concrete; in caso contrario io credo che dovremo rivendicare la chiusura. Per esempio: le saune che non regalano i preservativi all’ingresso non potranno più essere affiliati all’Arcigay.

ANELLI Per quanto ne so dovrete chiudere diverse saune. Lo farete davvero?

GRILLINI: Non ho difficoltà a ripeterlo. Rivendicheremo la chiusura delle saune che non metteranno i preservativi gratuitamente a disposizione dei loro clienti. Dopo dieci anni di Aids non ci possono essere più alibi per nessuno.

ANELLI : L’arcigay ha fatto tutto quello che si poteva fare per la lotta contro l’aids?

GRILLINI: Sai, quest’anno sono stato a tanti funerali di amici e conoscenti che sinceramente risponderei di no.

E’ un no, perché di fronte a tante morti non possiamo essere ottimisti, ma devo aggiungere che noi abbiamo fatto tutto quello che potevamo: centinaia di conferenze e assemblee, incontri e interventi sui media, migliaia di volantini e preservativi distribuiti in ogni parte d’Italia, consulenze telefoniche e presso i circoli. Nonostante questo credo che abbiamo ancora molto da fare e i circoli saranno molto impegnati su questo tema.

ANELLI: Mi sembra che nonostante tutto i gay tendono a rimuovere il problema aids. Cos’è, menefreghismo o paura?

GRILLINI: Le motivazioni di questa rimozione sono molte. Bisogna tener conto del fatto che molti gay non accettano neppure la propria omosessualità. In questi casi, e purtroppo sono la maggioranza, diventa difficile affrontare le problematiche relative all’Aids, sia verso se stessi che verso gli altri. Per questo ribadisco che il lavoro da fare è ancora molto, e che la lotta all’Aids per gli omosessuali è strettamente legata alla lotta per il diritto alla vita, alla propria vita, all’essere gay e all’essere felici. D’altro canto abbiamo visto in questi anni esempi di gay che hanno dato molto alla lotta contro l’aids: da Enrico Barzaghi e Giovanni Forti a Stefano Marcoaldi, attuale presidente dell’Associazione Solidarietà Aids di Milano.

Queste persone ci hanno insegnato, e non solo a noi, che con l’Aids si può convivere, che questa malattia non è solo morte e disperazione, che insieme possiamo farcela.

Ringrazio anche questi amici perché è anche grazie a loro se ora il movimento gay ha ottenuto quei riconoscimenti istituzionali che ci permettono di trattare con più forza anche in Italia.

ANELLI: Franco Grillini ricopre da tanti anni un importante ruolo pubblico. Come hai fatto a far convivere questo lavoro con la vita privata?

GRILLINI: E’ molto semplice: io faccio politica da quando sono bambino, mi piace farlo e sono disposto a rinunciare a qualcosa per continuare. Certo chi ha avuto relazioni con me in questi anni si è molto lamentato, ma si tratta di pagare un prezzo. Per ora va bene così, poi si vedrà.

ANELLI: Come va l’arcigay? Quanti sono gli iscritti e i circoli?

GRILLINI: Abbiamo appena concluso il programma del 1992 con un’assemblea dei circoli a Napoli e un incontro nazionale a Bologna, dove sono state tracciate le prossime iniziative. Attualmente ci sono circa tredicimila soci, però molti di questi sono soci solo per accedere ai locali affiliati all’arci gay: i “militanti” sono qualche centinaio e operano in trenta circoli sparsi in tutta la penisola, da Milano a Catania, da Cagliari a Firenze, da Genova a Napoli, in tutte le maggiori città c’è un riferimento per gli omosessuali.

ANELLI: Quali sono i programmi dell’arcigay per il prossimo anno?

GRILLINI: In questi anni ci siamo presentati sulla scena politica, sociale e culturale, siamo ormai riconosciuti come validi interlocutori.

Adesso si tratta di tradurre in risultati questa presenza: in particolare a livello legislativo per il riconoscimento delle convivenze gay, per una corretta educazione sessuale nelel scuole e per una più efficace azione di informazione sull’Aids. Occorre poi migliorare il nostro rapporto con i media per una più incisiva azione di controinformazione.

 

                 Ma l’obiettivo  più importante sarà quello di rivitalizzare il lavoro dei circoli di tutta italia con interventi locali: per permettere a tutti di partecipare e di discutere: dobbiamo intervenire per facilitare la presa di coscienza di tutti gli omosessuali, per fare in modo che più persone possibili scelgano di vivere a viso aperto,senza maschere e senza vergogna il loro essere gay.

                 Dobbiamo attrezzarci per una lunga battaglia, per una politica fatta di piccoli passi e di risultati concreti, a cui tutti devono dare il loro contributo. Maggiori saranno le nostre forze in campo e più breve sarà il tempo che ci separa da una società dove gli omosessuali avranno gli stessi diritti degli eterosessuali.

(MARIO ANELLI – BABILONIA GENNAIO 1993)

 

 

2003 (per il pride nazionale a Bari scritto su un giornalino tipo aut forse è clubbing pieno di pubblicità di locali oppure è stato fatto appositamente per il pride barese..boh...comunque è interessante)


 


 

DA DOVE VENIAMO:

microstoria del movimento GLBT in Italia

 

 

di Giovanni Dall’Orto

 

 

 

 

ORIGINI

 

 

La nascita “ufficiale” del movimento di liberazione gay in Italia è simbolicamente fissata al 5 aprile 1972, quando un gruppetto di lesbiche e gay contestò aspramente a Sanremo un congresso sulle “devianze sessuali”e la loro “cura”. La contestazione, anche grazie al lancio di una bombetta puzzolente, costrinse a chiudere l’incontro prima del previsto..Questo successo marcò la prima apparizione pubblica del F.U.O.R.I.! (Fronte unitario omosessuale rivoluzionario italiano), nato dall’unione fra alcuni minuscoli gruppi di lesbiche e di gay, che avevano scoperto grazie ai loro viaggi (all’epoca i mass-media censuravano rigorosamente questo tipo d’informazioni) in Francia, Gran Bretagna e Olanda il neonato Movimento di liberazione gay. Il Fuori! si caratterizzò all’inizio come gruppo di estrema sinistra, dato che da lì proveniva la massima parte dei militanti, ad eccezione del gruppo di Torino, che si riconosceva nell’area radicale. Il neonato movimento si presentò come realtà mista (lesbiche e gay), anche con la creazione del Fuori! donna, tuttavia le donne lesbiche italiane si sono sempre riconosciute di preferenza (a parte la parentesi dell’Arcigay-Arcilesbica) nel movimento lesbico-separatista, e quindi in Italia la storia del movimento lesbico è separata da quella del movimento gay.

 

 

PRIMA FASE

 

 

Il periodo iniziale del “Fuori!” fu caratterizzato dall’entusiasmo e dalla speranza di una rapida “ribellione” dei gay italiani, sull’esempio di quanto era avvenuto nei Paesi d’Oltralpe..Purtroppo però questa “ribellione” non avvenne mai, e per un motivo banale: mentre all’estero il movimento gay rappresentava solo l’ala più radicale di un più vasto movimento di liberazione “omofilo” che esisteva da decenni, in Italia il movimento gay nasceva dal nulla. Inoltre all’estero il movimento gay aveva come punto di riferimento per la propaganda una serie di locali per omosessuali..che in Italia invece non esistevano affatto. In questa situazione sociale arretrata, il movimento gay, con le sue parole d’ordine d’avanguardia, risultava elitario e, nella sua ostilità verso il mondo “commerciale” (di cui in Italia esistevano troppo pochi, non certo troppi esempi) era lontano dalla vita del gay comune, che non volva solo più politica gay, ma soprattutto più vita e più occasioni d’incontro, specie se viveva nella soffocante “provincia”..Col senso di poi, è facile notare come gli anni successivi siano serviti alla lenta e faticosa costruzione degli elementi fondanti della comunità gay, inesistente nel nostro Paese, e cioè:

-         del mercato gay (che all’estero è ovunque la spina dorsale della “comunità gay”) e della “ coscienza comune” di comunità fra la massa dei gay italiani.

Questo sforzo enorme ha sottratto energie alla battaglia di migliorare le condizioni sociali dei gay: se l’Italia è l’unico grande Paese della UE in cui non esiste ancora nessuna forma di riconoscimento delle Unioni di fatto, un motivo ci sarà..

 


 

SECONDA FASE

 

 

Passato l’entusiasmo della fase iniziale, attorno al 1976 il movimento gay conobbe una seconda fase e si divise in due ali: da una parte i “riformisti” che preferivano “abbassare il tiro per mirare più lontano”, e si federarono al Partito Radicale, dall’altro i “collettivi autonomi” (rivoluzionari), che rifiutavano tale impostazione. Dopo un’iniziale esplosione di attivismo dei gruppi autonomi, verso il 1980 la situazione si ribaltò, e la scena, complice il “riflusso” post-sessantottesco, risultò dominata dal Fuori!. Il successo fu però solo apparente, tanto è vero che il Fuori! si sciolse inaspettatamente nel 1982.

Questo scioglimento sancì simbolicamente la fine di un periodo di lotte: quello in cui il primo obiettivo del movimento gay era dire “ci siamo anche noi” a un’Italia che considerava contrario al “Comune senso del pudore” anche solo nominare l’omosessualità sui giornali (di mostrarla in TV non se ne parlava nemmeno). Quando, a furia di iniziative clamorose (e un pizzico di travestitismo e di provocazione per attirare i cronisti) il tabù fu rotto, un movimento centrato su questi obiettivi smise di avere senso. E infatti questa fase del movimento gay si estinse da sé, di morte naturale.

Chi prese il suo posto, a poco a poco e non senza difficoltà iniziali, fu in neonato Arcigay (fondato nel dicembre 1980 a Palermo), legato all’Arci e quindi ai partiti “storici”della sinistra italiana (Pci e Psi).

La formula del successo di Arcigay fu semplice: Arcigay aveva imparato dal Fuori! la percorribilità di una politica “riformista”(mentre i gruppi rivoluzionari rifiutavano il dialogo con le “istituzioni borghesi”) ma non condivideva l’ostilità programmatica verso la sinistra italiana che caratterizzava gli esponenti di spicco del Fuori!. Questo le permise di contare sull’aiuto (per quanto tiepido..) della sinistra italiana, che negli anni successivi si sarebbe rivelato determinante. Questo spiega come mai la “riformista”Arcigay finì per assorbire tutti i superstiti collettivi autonomi, con l’eccezione del solo “Collettivo Narciso” di Roma, che divenne il Collettivo Mario Mieli, prendendo il nome del leader indiscusso dell’area dei collettivi autonomi, prematuramente scomparso. L’arrivo dell’aids, del quale si iniziò  a parlare seriamente in Italia prima del 1985, creò al tempo stesso una grave crisi e un’occasione.

La crisi fu dovuta al fatto che di colpo tutte le energie andavano concentrate nella lotta a un flagello mortale, nonché alla scomparsa improvvisa di numerosi militanti di spicco: l’occasione fu legata al fatto che per parlare di Aids i gay, per la prima volta, divennero un tema accettabile perfino in Tv (nel 1985) e soprattutto un interlocutore obbligato da parte delle autorità sanitarie e non . Si aprì così una nuova fase di attivismo caratterizzata da tre elementi:

-         dialogo con le autorità, i partiti politici e le associazioni, a tutti i livelli;

-         presenza continua sui mass-media, per familiarizzare gli italiani con i temi della questione omosessuale;

-         propaganda incessante rivolta al mondo gay non-militante sui temi del movimento gay, per fare nascere una nuova generazione che avesse maggiormente a cuore i temi dei diritti civili gay.

I primi cinque anni di questa fase furono quasi monopolizzati dall’emergenza Aids, successivamente la proposta del movimento si articolò maggiormente: fra le nuove richieste emerse per la prima volta nella storia italiana il riconoscimento delle Unioni Civili. In questa fase nacquero anche gruppi espressione di tendenze politiche e culturali diverse, come ad esempio Gay Lib, che raccoglie i gay di centro-destra.

Questa crescita di proposte fu il sintomo di un allargamento crescente della tematica del movimento gay anche al di fuori dell’area politico-culturale di origine.

Infine, in Arcigay la presenza delle donne fu sempre più cospicua e visibile, fino al significativo cambiamento di nome in Arcigay-Arcilesbica.

A partire dal 1995, però, si manifestarono i primi sintomi di “saturazione” della politica gay basata sui tre punti di cui sopra, con un conseguente disagio che causò negli anni seguenti alcune dolorose separazioni (in particolare, quella fra Arcigay e Arcilesbica, e fra l’ala sinistra dell’Arcigay – che uscì per formare i Cobagal – e il resto dell’organizzazione). In questo periodo il disagio è andato crescendo, al punto che i due o tre anni precedenti il Duemila, anno per il quale era pianificato il World Pride a Roma, furono caratterizzati da una conflittualità interna abbastanza elevata, che rischiò addirittura, per un breve periodo, di far fallire lo stesso World Pride.

 

 

TERZA FASE

(QUELLA ATTUALE)

 

 

Il World Pride 2000 e il suo successo trionfale (possibile solo grazie al tempestivo freno posto alle polemiche e alle rivalità interne, di fronte al comune nemico) ha però marcato la fine di questa fase del movimento gay e ne ha reso possibile un’altra. La nuova fase, che è quella in cui stiamo vivendo adesso, è per ora caratterizzata da:

-         possibilità di coinvolgimento nelle iniziative del movimento, per la prima volta, anche dalla massa della comunità gay in senso ampio (il “popolo dei locali”);

-         successo dello sforzo di portare la tematica gay anche ai livelli più alti della politica italiana, simboleggiato dall’elezione in Parlamento di Titti De Simone (presidente di Arcilesbica,Rc) e di Franco Grillini (presidente onorario Arcigay, Ds) nonché dalla rielezione di Nicky Vendola (esponente di Arcigay,Rc);

-         ripresa del dialogo fra realtà GLBT diverse, del quale proprio il “Padova Pride” del 2002 (al quale aderirono gruppi con connotazioni politico-culturali molto diverse, dai Noglobal a Gay Lib) è stato ottimo esempio. In particolare tutto il movimento si giova della ritrovata voglia di partecipare da parte della popolazione italiana in genere, di cui il World Pride era stato solo una prima manifestazione

-         infine, e questa è una novità del BariPride del 2003, apertura del dialogo con le realtà GLBT di una prima pattuglia di politici non solo di sinistra, ma anche di centrodestra. Il BariPride ha infatti ottenuto il patrocinio di istituzioni (Presidenza della Regione Puglia, Provincia di Bari, Provincia di Foggia, Comune di Bari, Comune di Cosenza, Comune di Giovinazzo, Comune di Melpignano), e il sostegno di altre (Provincia di Lecce, Comune di Barletta,Comune di Gioia del Colle,Comune di Fasano, e di molti altri comuni della provincia barese e non) con amministrazioni sia di centrosinistra che di centrodestra. Non è eccessivo dire che da questo punto di vista nel 2003 il sud Italia fa scuola sui temi dell’integrazione.

 

 

Concludendo, oggi il movimento GLBT italiano si trova, come detto, all’inizio di una nuova fase, tutta da inventare.

Da un lato deve fronteggiare la politica sempre più aggressiva e vociante dei suoi nemici (neofascisti, neonazisti, fanatici religiosi e loro alleati e succubi), dall’altro può per la prima volta sperare sulla mobilitazione di un numero crescente di persone GLBT che, pur senza considerarsi “militanti” credono sempre più al progetto e al sogno della “comunità GLBT”. Senza contare l’appoggio sempre più visibile di una parte dell’opinione pubblica eterosessuale..Mai come in questo momento, insomma, il nostro futuro è stato nelle nostre mani.

                  

 

‘un caffè da Massimo Consoli”

  Intervista di Letizia Gatteschi

 

Intervista apparsa sul giornale del Circolo gay Michelangelo di Monaco di Baviera nel febbraio 1991 e ripubblicata dall’Archivio Consoli il 28 dicembre 1996

 

 

                  “Fallocratico”? Si chiede Massimo Consoli esterrefatto e quasi meravigliato che una parola simile esista ancora nella terminologia in uso, specialmente nell’ambito dei gruppi gay. Allude allo “Stonewall”di Roma un gruppo ancora giovane, come il nostro, privo di quella certa esperienza che Massimo, dopo 30 anni di attività internazionale può vantare.

                  “Fallocratico”? Mi guarda fisso mentre mi offre gentilmente la terza tazzina di caffè. E’ uno di quei tiepidi pomeriggi d’autunno romano. Siamo seduti al tavolo del suo famoso archivio gay a Frattocchie, il più grande d’Europa, a quanto ne so: migliaia di libri, fascicoli, riviste, amuleti e francobolli e una di quelle bambole..naturalmente in versione maschile col “coso” da attaccare. Senza contare i pacchi dei numeri del “Rome Gay News”, da lui fondato in collaborazione col gruppo italiano gay di New York, e l’”OMPO”, la prima rivista decisamente omosessuale che risale ai primi anni della sua attività, molto collegata agli eventi del ’68. Ma non solo libri e giornali, anche annunci, anzi, ritagli d’annunci di un qualche giornale al di là dell’emisfero, riguardante la condizione gay! Quello a cui tiene più di tutto è la sua documentazione sull’Aids, raccolta secondo tutte le regole archiviali, in fascicoli, posti in uno scaffale proprio all’entrata dello studio.
 
                       Mi dice che vengono spesso studenti a elaborare le loro tesi e, infatti, suona il campanello quando io me ne vado. Intanto mi fa vedere le pagine del suo ultimo libro “Stonewall”, sulla storia del movimento gay, che sta correggendo prima di dare alle stampe. Ogni tanto si accorge di una piccola imprecisione che corregge scrupolosamente. La bibliografia è favolosa! Ti viene quasi invidia, specialmente se sei laureato da poco e ti rendi conto di quanto materiale esiste ancora da leggere e pubblicare, proprio su quello che ti riguarda più di tutto: la tua identità, la tua ragione di essere.

Tento, un po’ maliziosamente, un piccolo test: “Non trovo quel libro sugli indiani, cioè quelli gay…sai di quell’autore..non  mi ricordo il nome e, neanche il titolo…” Consoli si mette a sfogliare la bibliografia e io: “No, qui non c’è, non l’ho trovato..”

“Ma sì che c’è” – mi rassicura nel suo modo bonario che ti conquista all’istante – Avrà capito il mio trucco? A parte che, in quel momento mi ero veramente scordata titolo e nome di quel libro che mi aveva dato il nostro Karl prima di partire per l’America con la raccomandazione: “Se leggi questo capisci tutto!”

                   “The spirit and the flesch!” Esclama Consoli e, con un balzo quasi felino, allunga la mano al punto giusto dei suoi scaffali: “Eccolo qua!” Uno dei 1900 volumi in lingua inglese – una piccola parte degli altri nelle varie lingue, compresi dizionari ed enciclopedie – “Non si sa mai, a volte basta il più piccolo accenno, a prima vista insignificante..per es, i topi. “I topi????”, gli chiedo meravigliata, pensando che ora sta andando un po’ fuori tema. “Eh sì, cara, i topi – il medioevo – la chiesa e l’aids”.

Comincio ad intuire: “Vedi, io definii l’Aids la peste del 20^secolo…”No!, m’inserisco conoscendo tutta la polemica in proposito.
“Aspetta – tenta di calmarmi – non intendo dal punto di vista medico, ma da quello storico”.

                        Riesco ad accettare un po’di più e gli faccio cenno di proseguire: “Nel medioevo, come tu sai, non furono bruciate solo le streghe, gli omosessuali ecc..ma con loro anche i gatti, e sai perché?” “Penso di sì” “No, aspetta: perché le streghe erano quelle collaboratrici del diavolo che, per diventare “sue” gli davano il bacio nel culo. Ecco! Il bacio nel culo che si ricollega all’omosessualità; ma non ti credere che rimanga tutto lì: il gatto, animale sacro nell’antico Egitto, diventa sacrilego all’epoca cristiana, perché accompagnatore della strega, che da il bacio nel culo, come gli omosessuali…”  “Ho capito!”, esclamo un pò irritata, perché questi uomini gay non riescono a parlare d’altro.

Ma Consoli ha pazienza: “Dunque – prosegue con la tipica calma dell’intellettuale che non si fa spezzare il filo del discorso da qualche disturbo momentaneo – i gatti vengono bruciati insieme alle streghe che…(ritornello), così non possono cacciare e ammazzare i topi e i ratti, che a quei tempi invadevano le città che si trovavano in un misero stato d’igiene”. “Sì, lo so..”.

                    “Aspetta: i ratti e i topi sono ed erano, ovviamente, portatori di virus e così si evolve la peste nelle città, la più grande piaga di quell’epoca. Dal momento che non furono più bruciate le streghe e con loro i gatti, la peste svanisce. Conclusione: non la gente aveva divulgato il virus perché sporca, cioè priva d’igiene sì, ma perché la Chiesa per secoli bruciando i gatti e volutamente non curandosi dell’igiene pubblica, per questioni “morali”, aveva interferito su un naturale sistema igienico..”.

“Sul sistema ecologico!”, dico io, contenta di aver finalmente afferrato il senso del discorso. E Consoli mi guarda come dire: “Anche se sei una donna lesbica e reagisci come tale, te lo dico lo stesso: “Gli omosessuali vengono costretti tutt’oggi dalla Chiesa a comportarsi in un certo modo poco igienico e nascosto…”.

                      Subito mi viene in mente uno di quei gabinetti sul Lungotevere, tutto scarabocchiato e puzzolente con la scritta rossa, come di sangue: “Qui te lo mettono nel culo”. Consoli segue il mio pensiero: “Vedi, hai voglia a dire protezione”Sì, è giusto proteggersi, ma..a volte questo maledetto preservativo non è a portata di mano..”.

                     Devo interrompere un attimo per informare i lettori stranieri che in Italia né nelle toilette pubbliche, né in locali, né in altri posti all’infuori delle farmacie si possono acquistare preservativi. “E a parte quello – prosegue Consoli – lì non ci son i bidet, come nelle case “per bene”,d ove ti puoi lavare “dopo”. Insomma, lì è facile che ti prendi le malattie..”

                     Lo guardo ad occhi spalancati, non perché sia così ingenua, ma perché ora mi è tutto chiaro: “Allora, vedi, la causa della divulgazione dell’aids non è il virus in sé, né gli omosessuali, ma piuttosto la Chiesa che ti costringe a comportarti in un certo modo, appunto poco igienico e pericoloso! Il vescovo di New York, una persona antipaticissima, con un nasone che non ti dico…, quando, tramite mass media e più che altro il lavoro dei gruppi gay si venne ad una conoscenza definitiva della divulgazione dell’epidemia, ne negò addirittura l’esistenza!”

                    Si potrebbero aggiungere a questo punto le “news” del Papa che va’ in giro per il mondo e proprio nei paesi più colpiti dall’Aids predica di non prendere precauzioni di nessun genere, rendendosi così responsabile della morte di migliaia di persone e, beninteso, non solo di omosessuali e drogati ma anche di migliaia di donne, bambini, vecchi, giovani, belli, brutti, insomma di tutti!!!
 

                   Mi alzo, ormai si è fatto quasi sera. Mentre il nipote, che Consoli mi presenta insieme al resto della famiglia, (altra informazione per non italiani: questo in Italia non è la regola, ma l’eccezione, il più delle famiglie non accetta il figlio gay o la figlia lesbica o puttana che sarebbe poi, secondo il “pater familiae” la stessa cosa) mi accompagna con la sua utilitaria alla metro perché l’autobus, a quell’ora, Roma te la fa sognare ma non raggiungere, penso: “In fondo lo sapevo anch’io tutto ciò, ma Consoli mi ha convinto di una cosa: quello che conta non è tanto quello che si sa’ o che si fa, ma il dire quello che si sa’ e il fare quello che si deve far e ripeterlo più volte, sempre, nel modo più semplice, più esplicito e…più vero”.

LETIZIA GATTESCHI

 

 

 

GIO' STAJANO SU VLADIMIR LUXURIA: Negativa è invece la sovraesposizione mediatica di alcune, una per tutte Vladimir Luxuria, che alla causa non porta proprio niente. E’ troppo comodo tenersi il pisello e voler essere considerata donna.


 
 
Un'intervista carina fatta da  Cervio Gualersi  e pubblicata su Pride nel febbraio 2009,  in cui  Giò Stajano bastona tutti: da Luxuria al papa al movimento gay accusato di aver creato ghetti  e promosso carnevalate.
 
 
Giò Stajano è stato il più famoso omosessuale della Roma della dolce vita. Poi è diventata donna senza compromessi, ma oggi il suo unico amore è la religione. Una biografia senza veli racconta la storia di questa spericolata signora.

 

DALLA DOLCE VITA AL CONVENTO

 

di MARIO CERVIO GUALERSI

 

               Ha attraversato mezzo secolo di storia italica e non si è fatta mancare proprio niente. Giò Stajano (per l’anagrafe oggi Gioacchina, dopo l’operazione a Casablanca nel 1982) è stato il primo omosessuale dichiarato negli anni cinquanta, un pioniere coraggioso o incosciente, dato il clima da caccia alle streghe della Roma democristiana con rigurgiti fascisti. A proposito, la mamma era figlia di Achille Starace, già segretario del Partito e potente gerarca di Mussolini. Lasciata la Puglia, ha trovato giovanissima la sua strada nella capitale che viveva il periodo d’oro della dolce vita: cronista di amori, scandali e feste nell’ambiente del cinema e dell’aristocrazia, protagonista di clamorosi tentativi di suicidio per amore di fedifraghi giovanotti, militari e sportivi, che l’avevano sedotta e abbandonata. In anni seguenti è stata titolare del Salotto di Oscar Wilde, la prima rubrica di posta del cuore gay, sul settimanale “Men” e autrice di romanzi (in via di prossima ripubblicazione) come Roma Capovolta – condannato al rogo dalla censura – Meglio un uomo e le signore sirene.
 
                     Dopo la decisione di cambiar sesso, il periodo controverso come prostituta d’alto bordo e, ultimo clamoroso giro di boa, la conversione religiosa, agli inizi intrapresa per tornare sotto i riflettori e poi diventata una ragione di vita. A 77 anni Giò, tornata alle origini nel piccolo paese del Salento, ripercorre il suo percorso esistenziale nella biografia Pubblici scandali e private virtù, scritta da Willy Vaira che le è amico e confidente dal 1988. Insieme hanno anche composto una raccolta di poesie e stanno ultimando un libro sulla sua svolta spirituale.

                    La incontriamo a Firenze nell’ambito del Queer Festival in occasione della presentazione, organizzata da Bruno Casini, del volume: ci avevano messo in guardia sul suo carattere ombroso, ma la troviamo invece paziente e disponibile, desiderosa di farsi conoscere anche dai lettori più giovani.

 

Cosa ci dobbiamo aspettare dal libro di poesie che arriva in libreria in questi giorni?

 

                  Si intitola Esercizi d’amore, pubblicato come l’altro dall’editore Manni. E’ una raccolta di poesie a due voci: 22 sono scrittte da me e altre 22 da Willy. Dalle langhe al Salento è il sottotitolo, ma non ci sono solo riferimenti alla natura: parlano soprattutto d’amore.

 

Come vedi cambiata la nostra società in merito alla condizione omosessuale rispetto ai mitici anni sessanta e settanta?

 

                     Le cose sono cambiate sicuramente in meglio, c’è una libertà allora inimmaginabile. A Roma, ad esempio, non bisogna pensare che gli artisti, gli stravaganti e i gay potessero mostrarsi al di fuori del centro, via Veneto, via Margutta, piazza del Popolo. Appena arrivavi in periferia la situazione cambiava del tutto. Ne so qualcosa io che venivo apostrofata pesantemente. Ricordo uno “scontro” con alcuni maschi che mi urlarono l’insulto più scontato: non persi la calma e gentilmente chiesi loro cosa desiderassero. Quelli, spiazzati, si schermirono, rispondendo con impaccio che il “frocio” non era indirizzato a me. Io replicai di essere molto lieto che allora fosse rivolto a uno di loro, dato che pensavo di essere l’unico omosessuale – dichiarato – nella capitale. Rimasero basiti, senza alcuna reazione e girai i tacchi indisturbata.

 

Che ricordo hai dei problemi e dei quesiti che ti ponevano i lettori a cui rispondevi dalle pagine di “ Men”?

 

                    Alcuni confessavano situazioni davvero drammatiche, altri volevano essere rassicurati di non esser gay pur raccontando storie che non lasciavano ombra di dubbio. Le mie risposte dovevano necessariamente sdrammatizzare o toccare i tasti del grottesco o dell’ironia. Indimenticabile è l’episodio successo a un lettore, commesso viaggiatore che, sorpreso da un nubifragio nelle campagne della Calabria, trova rifugio presso la casa colonica di due fratelli contadini. Questi lo accolgono, lo rifocillano, gli danno abiti asciutti e predispongono un letto per la notte, dato che le condizioni metereologi che sono ancora proibitive. Nel sonno avverte un forte dolore e si rende conto che uno dei due lo sta sodomizzando. Poi subentra l’altro e cosi via a turno per tutta la notte, lasciandolo al mattino avvilito e stremato, con le sole forze per riguadagnare la strada verso la sua auto. Nei mesi seguenti continua a ripensare al fatto, scoprendo che la cosa non gli era poi dispiaciuta. Legittimo dunque chiedersi se stava diventando gay. Io gli risposi che per poterlo davvero aiutare dovevo rendermi conto personalmente di che razza di persone si trattasse, chiedendogli l’esatto indirizzo degli insaziabili calabresi. Stiamo pensando di raccogliere queste lettere, che ho conservato con cura, in un volume, per mostrare i primi segnali dell’italia omosessuale che usciva dalle catacombe. Un pezzo della nostra storia che anche il presidente Nichi Vendola considera significativo.

 

Hai mai pensato che subire il fascino o innamorarti solo di presunti eterosessuali fosse un tuo limite e che nell’ambito di un tale rapporto una buona dose d’ipocrisia era inevitabile?

 

                  Non mi sono mai posta questo problema perché, sentendomi donna, i maschi eterosessuali erano il mio unico oggetto di desiderio. Certamente alcuni hanno approfittato di questa mia propensione, ma spesso ho avuto modo di pareggiare i conti con quelli che più mi avevano fatto soffrire.

 

Anche con le tue rivali non sei mai stata mai tenera, anzi, in alcuni casi, vendicativa. Adesso che le vedi con occhi di donna, ti sei ricreduta nei loro confronti?

 

                     No, il mio atteggiamento non è mutato. Mi contendevano l’oggetto amato, erano mie nemiche e le trattavo come tali.

 

Cosa pensi di quelli che sostengono che nonostante la repressione, la doppia vita e il disprezzo della società quei tempi fossero d’oro per l’omosessualità, considerando la scarsa disponibilità sessuale delle ragazze e il numero di giovanotti in cerca di soddisfazioni senza fare troppi distinguo?

 

                  Che dicono sciocchezze: la pressione sociale era tremenda, la censura implacabile non appena intravedeva il pur minimo riferimento all’omosessualità. Nel mio terzo romanzo, Le signore sirene, fu necessario trasformare i protagonisti gay (veri esponenti della politica, dell’arte,, dell’aristocrazia e dell’alta finanza) in infelici creature femminili.

 

Perché non hai mai aderito a una associazione o a una componente del movimento glbt?

 

                 Non mi piacciono gli eccessi, le carnevalate delle sfilate per il gay pride. Tutte quelle tette scoperte e quelle provocazioni gratuite. Sono sempre stata e sono tuttora nemica dei ghetti e di qualsiasi altra forma di divisione: vorrei che tutti fossero ugualmente uguali.

 

E il tuo parere sulla condizione dei transessuali in Italia?

 

                Di passi in avanti ci sono stati, la prostituzione non è più l’unico sbocco possibile e questo è positivo. Negativa è invece la sovraesposizione mediatica di alcune, una per tutte Vladimir Luxuria, che alla causa non porta proprio niente. E’ troppo comodo tenersi il pisello e voler essere considerata donna.

 

In fatto di esposizione mediatica, di smania di essere al centro dell’attenzione, anche tu in passato non scherzavi…Come ti sei sentita nel ritrovarti davanti alle telecamere?

 

                   Si è rivelata una grande delusione. Sono stata invitata da Magalli, da Rispoli e da Bonolis. Chi più, chi meno, hanno travisato volutamente lo scopo per cui ero andata, il trasmettere un messaggio cristiano, il far conoscere al pubblico la storia della mia conversione religiosa, l’esperienza nella comunità religiosa delle suore di Betania del Sacro Cuore. Invece hanno tirato fuori il solito bagaglio della dolce vita, gli scandali e al parte di me che, senza rinnegarla, non mi corrisponde più. Mi sono molto risentita e credo che non ripeterò l’errore.

 

E’ bello e commovente l’episodio che nella biografia racconti su papa Giovanni. Ma alla luce della tua fede che impressione hai dell’attuale papa e di come si è espresso sulle unioni civili, il rifiuto di depenalizzare la condanna a morte per omosessualità e, ultima, la negazione del transgender?

 

                   Non condivido affatto queste esternazioni da parte di quello che io chiamo “la Wanda Osiris del Vaticano”. Voglio bene ai miei amici gay e non vedo perché le loro unioni non debbano essere tutelate. Riguardo poi al gender, ti rivelo un piccolo scoop. Leggendo il Vangelo secondo Matteo (18-19) ho trovato questa citazione di Gesù ai discepoli, in merito alla condizione dell’uomo rispetto alla donna e al matrimonio: “Non tutti comprendono questa parola, ma soltanto coloro ai quali è stato concesso. Vi sono infatti eunuchi che sono nati tali nel seno materno, vi sono eunuchi che sono stati fatti eunuchi dagli uomini e vi sono eunuchi che si sono fatti eunuchi da se stessi, per il regno dei cieli. Chi può capire capisca”.

 

Giò, per finire, un rimpianto circa il passato e un proponimento per il futuro

 

                     Il rimpianto è quello di aver fatto indirettamente soffrire la mia famiglia, mia madre soprattutto, per le tante intemperanze che avevano poi una ricaduta negativa sulla loro vita sociale. Il proponimento a breve è quello di finire il prossimo libro con Willy e più in generale di aspettare in serenità l’ultimo giorno, quando dirò al Signore: “Ecco sono qui, prendimi con te”.