domenica 27 dicembre 2015

Volevo i pantaloni: Naked Party e foglia di fico


Volevo i pantaloni: Naked Party e foglia di fico

  di Mattia Morretta

 

Togliersi di dosso gli abiti feriali o della festa (esiste ancora la differenza?), una volta assolti i compiti quotidiani o dopo le riunioni di famiglia e di condominio, per oziare in un dolce far niente per qualche ora in costume adamitico in un ambiente alla giusta temperatura, distensivo e gradevolmente arredato, magari se fuori piove o fa freddo. Il programma potrebbe essere allettante, benché ne sia necessario presupposto la propensione al cosiddetto naturismo, in assenza della quale la nudità integrale, propria o altrui, può risultare disturbante e persino angosciante.

E’ giunta sino a noi l’onda lunga della moda, da tempo in voga all’estero, del nudo a tutte le ore e in tutte le salse, come mezzo di evasione e di socializzazione con uno sfondo erotico. Nella sua versione di esigenza o preferenza mi pare un fenomeno tipico del nord, influenzato anche dai rigori del clima, perché nell’area mediterranea il corpo è largamente presente nella vita di tutti i giorni e in ogni stagione, la fisicità vi si esprime più direttamente, non solo laddove le vesti si riducono al minimo col bel tempo bensì pure ove l’abito diviene una coltre per un preciso messaggio alla comunità. Per quanto ci riguarda, non è un caso se abbiamo il più ricco patrimonio di statue di nudo e vantiamo la tradizione delle terme pubbliche di romana memoria. Da noi le èlite economiche e intellettuali venivano anche a respirare, se non a vivere, la sensualità per loro “liberatoria” quale polarità simbolica nel conflitto tra ragione e sentimento, collettività e individuo, controllo sociale e corporeità.

Dal punto di vista omosessuale, la nudità all’aperto (per esempio, in zone appartate lungo le rive dei fiumi o in spiagge riservate) è diversa e ha altre implicazioni rispetto a quella più recente a porte chiuse, in normali caffè o bar. Gli stranieri sono abituati e propensi a chiedere tra i servizi nelle località ove svernano o vanno in vacanza il clothing optional, in piscina e nei villaggi turistici esclusivi. Basta leggere le reclame sulle guide gay per rendersene conto.

Negli ultimi anni, però, si è imposto come vero e proprio genere il nudismo da esercizio commerciale, in almeno due versioni, una più pragmatica (finalizzata alla fruizione sessuale) e un’altra più ricreativa o relazionale (indirizzata ad alleggerire la formalità e il conformismo dell’incontro). In realtà, è implicito che la spinta fondamentale provenga dal narcisismo e che siano prevalenti, oltre che obbligatorie, le componenti esibizionistiche e voyeuristiche nell’eros degli interessati.

Da un lato, si tratta di una estensione dell’idea di base sottesa alle saune e ai bagni termali, portata direttamente al capolinea del tragitto togliendo per così dire quel residuo di velo legato all’asciugamano e al ricorso ad una giustificazione curativa o salutistica. Dall’altro lato, è in gioco la facilitazione dell’interazione tra uomini attraverso la riduzione delle barriere/interferenze sociali e l’aumento dello stimolo dei sensi (a cominciare ovviamente dalla vista ma senza trascurare l’olfatto). Da  quest’ultimo punto di vista, potrebbe esserci qualcosa di interessante in senso sociologico su cui meditare. Sembrerebbe, infatti, di avere a che fare con la riproposizione in chave omosessuale e interna al gruppo gay della teoria del buon selvaggio, con l’apologia della liberazione dai gravami del condizionamento dell’ambiente. La nudità che ride (nella parole di Robert Musil) promette umanizzazione, spontaneità, naturalezza. Secondo tale ideologia, l’essere umano potrebbe rivelarsi più autentico e flessibile, se lo si mettesse in condizione di non indossare una uniforme, sostenere un ruolo, difendersi dal giudizio della pubblica opinione. Ridotto al suo fondamento corporeo e alla pelle quale unico scudo/confine egli sarebbe più disponibile al confronto e al rapporto, addirittura umile e disposto a riconoscere la base comune dell’identità. Sarebbe dunque la rivincita dell’individuo sulle costrizioni e le imposizioni della massa, il che vale a maggior ragione per gli omosessuali nel loro “mondo” separato e a pagamento. Invece di manipolarsi e usarsi nel buio e nell’impersonalità più alienanti, essi potrebbero condividere spazi e tempi “liberi” da impegni e calcoli (compresi quelli della ragioneria sessuale), stando comodamente seduti di fronte o accanto, piuttosto che passeggiando a ritmo lento, in piena luce o a media luce, senza altro vestito che le proprie espressioni facciali e altro biglietto da visita che il nudo corpo. E’ il giardino dell’Eden prima della cacciata?!

Nei fatti cosa accade a casa nostra, ad esempio nella Milano da bere ( a piccoli sorsi, pena l’avvelenamento garantito)?! Ci attendono scenari da El jardin de las delicias di El Bosco o da Le tentazioni di Sant’Antonio di J.Bosch?! In città sono alcune saune e diversi bar con vocazione hard a proporre da qualche anno il naked party. Le prime si direbbe più per risparmiare le spese degli impianti idrici, della lavanderia e della illuminazione, che non per andare incontro alla voglia dei clienti di fare sesso senza troppe scuse e giri a vuoto. I secondi per attirare consumatori mostrandosi più spinti e trasgressivi, osando infrangere gli ultimi tabù contro l’approccio sessuale diretto, ritenuto l’unico collante e la vera meta degli omosessuali di qualunque  età ed estrazione. I commercianti spregiudicati dell’ultima ora non hanno dubbi. “Sappiamo di cosa avete voglia e come soddisfare le vostre esigenze col minimo dispendio di energie (il denaro, si sa, va speso a cuor leggero). Ci pensiamo noi, voi dovete metterci solo il coraggio di varcare la soglia e sentirvi protagonisti (comparse) nelle nostre location. Provate per credere. Grazie alla tessera Arci e al biglietto d’ingresso con o senza consumazione, il limite residuo alla vostra liberazione in quanto gay è superato e dopo potrete orgogliosamente dire di esservi messi a nudo in senso letterale per la causa”. C’è la serata infrasettimanale e c’è quella festiva, per tentare di vivacizzare un calendario altrimenti povero e monotono, ma il risultato finale è comunque la scadenza fissa, perché è inutile sforzare la memoria visto che sono le abitudini a dare sicurezza. Così, conoscendo la tipologia di prodotti in offerta e la dislocazione dei reparti, ci si può distribuire in base alle preferenze e la frequentazione è più ordinata e codificata.
Del resto, nelle città europee ove il tempo da dedicare al piacere è altrettanto strutturato di quello da destinare agli affari e ai soldi, vige la diffusione gratuita nei quartieri gay di agende piene zeppe di appuntamenti per ogni sera e notte (anche pomeriggio), con tanto di fasce orarie, differenziate per tipo di esercitazione erotica (alcune definibili a buon diritto “eroiche”), per codice di abbigliamento o look, per ogni gusto e disgusto.

Per gli imprenditori gay d’oltralpe si tratta di lavoro e lo assolvono con lo zelo dei mercanti protestanti, avendo cura di non perdere del tutto la faccia o addirittura far bella figura grazie a pubblicità sulla prevenzione e alla distribuzione capillare dei profilattici nei loro locali (anfratti compresi, perché si sa l’attimo va colto, sempre).

L’impressione di varietà e divertimento è tuttavia di breve durata. All’estero il sesso viene oramai parcellizzato fino all’inverosimile, siamo già alla scissione dell’atomo sessuale, si gratta disperatamente in fondo della pentola per ricavarne briciole infinitesime di novità o variazione, si è costretti a erotizzare qualunque cosa e a inventarsi occasioni di festeggiamento di ogni pratica o parte del corpo. Non avendo altro da tradurre in prodotto e vivendo dello sfruttamento dei “bisogni” sessuali (per i gay non esistono orologi e cicli biologici: sex forever whatever wherever), è giocoforza  creare in laboratorio le opportunità e le declinazioni all’in-finito sul tema del godimento erotico, del pene e dei buchi, dei liquidi organici e dei cosiddetti giocattoli (sovente strumenti di tortura: perché il sadomasochismo dovrebbe essere normale per un omosessuale?).

Per questo, forse, trionfano i servizi web e le linee telefoniche di contatto immediato o sotto forma di caselle vocali, segreterie o altro. La vana speranza è quella di sottrarsi alla schiavitù del passaggio obbligato (con aggiunta di alcolici e droghe) nei soliti posti, alla intermediazione degli incontri ad esclusivo vantaggio dei gestori, alla fedeltà a presunti stili di vita. Presi singolarmente, però, la gran parte dei gay non sa più che pesci pigliare (sit venia verbo), annaspa tra finzioni sentimentali e copioni pornografici, nel faccia a faccia senza la cornice della riserva territoriale fatica a trovare fondamenti all’identità e cade nelle trappole dell’isolamento e della ghettizzazione senza aperture  o prospettive culturali. Per una verifica sul campo da antropologo dilettante e per curiosità personale ho presenziato tempo fa ad uno di tali “party” in un noto bar nella semi-periferia cittadina, di domenica per poter accedere dalla sauna attigua – l’ultima offerta è, appunto, l’incrocio degli ambienti contigui al primo piano e la mescolanza dei diversi tipi di clientela. L’idea di lasciare gli abiti in un sacchetto e tenere le calzature mi pare, infatti, disagevole oltre che comica; d’altronde, è assurdo che gli avventori del sex club sia consentito di portare sporcizia e microbi con le loro scarpe negli spazi della sauna, vanificando quel minimo di igiene auspicabile. Se l’intento è quello di accorciare le distanze e rendere più naturale o spontaneo il contatto interpersonale, la realizzazione pratica è un insulto alla fantasia erotica e al relax.

Qui, il detto mens sana in corpore sano vale a rovescio, cioè è confermato nella variante patologica. Una mente bacata trasforma di fatto il corpo in un involucro vuoto o un robot metallico. I convenuti sono per lo più dediti ad un moto convulso, il nervosismo traspare dalle movenze e dagli sguardi, la frenesia motoria dà sfogo all’irrequietezza interna. Gli ambienti della zona bar sono di una bruttezza angosciante, pur nella penombra o sotto le luci rossastre. Sostare, effettivamente, è doloroso, perché le pareti e i vani nel loro complesso sono cornice inappropriata per la pelle dei corpi pur sempre umani, anche solo dal punto di vista estetico, vedere giovani e uomini di mezza età ignudi e lividi fa venire in mente bettole malfamate in paesi del terzo mondo, ma anche lupanari di infima categoria, e ancora favelas o slum in cui regnano miseria e degrado. L’andirivieni da una zona all’altra, nell’unica accezione della caccia al potenziale partner sessuale, trova una parziale pausa nelle esplorazioni delle camere completamente buie poste alle due estremità del locale. Una di queste comprende una sala con proiezione su schermo gigante di video pornografici, ricavata ricorrendo a pesanti tendoni scuri, che creano ai lati due corridoi stretti per coloro che vogliono giocare a fare i guardoni. Minuscoli box di compensato, dotati di fori ad altezza d’inguine, si susseguono per dare l’effetto “labirinto” (poveri noi, che approssimazione architettonica). C’è da chiedersi come si possa trascorrere in luoghi tanto poveri e deprimenti più i un paio d’ore giusto una volta ogni tanto. Ciò che, tuttavia, appare più accettabile immaginando persone con indosso agli abiti, diviene quasi intollerabile nella constatazione diretta dell’effetto dell’ambientazione volgare e svilente su corpi nudi. La pretesa di spontaneità è annullata dall’artificialità della messinscena a puro scopo di consumo sessuale, e d’altronde i clienti hanno pagato per delegare ai gestori la confezione e il contenuto del prodotto, si beano della passività e della de-responsabilizzazione, incuranti delle conseguenze a breve e a lungo termine (colgono tutti il momento, è ovvio). Si capisce subito che qui la finalità della parata senza vestiti è di fare in modo di trovarsi già pronti per un sesso sbrigativo e frettoloso, saltare tutti i preamboli a andare al sodo. Eppure, se è solo questione di usare il membro o i buchi organici, perché essere nudi? Per far cadere in tentazione più rapidamente o per mostrare/svelare l’oggetto del desiderio (non è che poi l’oscurità consente molto l’utilizzo degli occhi!)? Il pene e le natiche sono in tal modo esposte alla valutazione veterinaria e all’asta dell’erotismo in svendita?!

Qua e là, a parte i cunicoli (ogni quanto vengono puliti?), c’è qualcuno che dà spettacolo attraverso le porte aperte di piccoli camerini con monitor sempre accesi, dalla lipodistrofia evidente sui volti non pochi sono della parrocchia Hiv. Più che da arrossire, c’è da impallidire perché si ha l’impressione di girare tra le quinte del set cinematografico di un thriller scadente.

Al contrario di quel che ci si aspetta. La visione dell’insieme e dei dettagli corporei finisce per inibire l’immaginata stimolazione erotica, la pretestuosa democrazia del nudismo sessualizzato è sopraffatta dalla sollecitazione di repulsioni, idiosincrasie, predilezioni squisitamente fisiche. Tastare nel buio e cercare/offrire solo il genitale (o l’ano e la bocca) è un conto, toccare un corpo fatto in un certo modo e appartenente ad un preciso individuo è un altro. Inoltre, per molti non è facile sottoporre con disinvoltura il pene all’osservazione puntigliosa della concorrenza e di un pubblico notoriamente esigente su tale mercanzia. Per questo ai più “timidi” (così dice la pubblicità) è consentito di indossare slip o costumi da bagno (che pasticci e contraddizioni grossolane!).

Si prova un senso di pensa in generale per la carne umiliata nonostante le muscolature da palestra e i portamenti da maschioni vanitosi, in particolare colpiscono i  corpi sgraziati, eccessivi nella magrezza o nella pinguedine, i ragazzi poco più che ventenni spauriti o al contrario spudorati, i più maturi stanchi di recitare la parte oppure servi superbi del sesso dio-padrone. Son tutti officianti di un rito senza liturgia né iniziazione, non c’è apprendimento possibile, è esclusa la vanta cultura del corpo e persino del piacere. Manichini per giunta privi di braccia e di testa, burattini i cui fili sono retti a loro insaputa o col loro consenso informato dai programmatori di professione della vita erotica della minoranza gay. Dopo aver creduto di essere destinati alla repressione o alla clandestinità, essi si ritrovano tra le mani il potere di gestire la sessualità in territori e riserve loro destinati con approvazione sociopolitica, da spendere come moneta corrente in supermercati del divertimento compulsivo. Quanta libertà sprecata! Ci si può accontentare della consueta scusante di essere cresciuti con dentro rabbia e frustrazione perché costretti a misurarsi col pregiudizio o con l’assenza di modelli positivi di identificazione?! Si consolino gli adulti di oggi, comunque, perché quelli di domani avranno come figure di riferimento politicanti senza scrupoli, travestiti e tran gender prezzolati dalla Tv, conduttori televisivi agguerriti e violenti, opinionisti di partito, consulenti d’immagine di grido, mantenuti nullafacenti pieni di droghe sintetiche, e via orripilando.

Il confronto con quanto accade all’estero è istruttivo. Nelle grandi metropoli straniere l’ultima trovata è bere il thé, svestiti nel bar gay. Si direbbe il massimo della tradizione e dello scandalo, entrambi borghesi. L’ideale per paesi protestanti, dove l’ipocrisia è un valore, o per i puritani, per i quali il sesso è una componente a sé stante, staccata dal resto della persona e dell’esistenza. Tra gli spunti più frivoli c’è l’ipotesi che vede nel mostrarsi frontalmente nudi, in piena luce, una fonte di soddisfazione della fantasie sopite nella quotidianità rispetto a persone incontrate in società (immaginare come siano fatte al di sotto dei più vari abbigliamenti) Si potrebbe obiettare che alla lunga si crei una situazione analoga a quella dell’essere vestiti di tutto punto, perché la fomalità prende necessariamente il sopravvento, anche giustamente. In questo senso, mi sembra si possa affermare che sia in gioco un tentativo di tipo omeopatico di de-sessualizzare sia la nudità che la relazione, a distanza o da vicino, tra uomini omosessuali. La vita in comune, infatti, specie se stretta e in piccoli gruppi, inibisce l’investimento sessuale dei più prossimi e rende più difficile il passaggio all’atto. Inoltre, l’esposizione ripetuta allo stimolo della nudità dovrebbe sortire l’effetto di una desensibilizzazione e di una smitizzazione della componente sessuale dello scambio interpersonale. Insomma, una forma di cura per l’eccesso di identificazione sessuale di cui soffrono i gay soprattutto cittadini (ma anche i provinciali non scherzano). I campi per nudisti, in effetti, non servono per facilitare lo scambio sessuale, semmai per gratificare impulsi narcisistici.

Il corpo nudo non ha scopo o esclusivo significato erotico, non parla solo di potenziali rapporti o gesti sessuali. La sua valenza in termini di differenza sessuale (il marchio distintivo dei due sessi) è inequivocabile, ma non condizione sufficiente ed obbligata per l’atto unitivo. Per certi aspetti, la curiosità o l’interesse che esso suscita, finanche nelle sue raffigurazioni pittoriche o scultoree, ha a che fare con la meraviglia di fronte alla creatura, quindi al rimando all’idea del creatore (a Sua immagine e somiglianza…) E’ l’umanità messa a nudo, fragile, vulnerabile, e al contempo misteriosa ed incredibile.

Per questo le sceneggiate di certi naked party fanno rimpiangere i balli alla corte viennese in uniforme di gala. Mi viene spontaneo reclamare: ridatemi i pantaloni, perché tanto sotto il vestito c’è il niente…

Mattia Moretta (novembre 2006)

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