
di STEFANO RODOTA'

Il lavoro di Ezio Menzione appartiene a quest'ultima categoria. Ma è una lettura che non deve essere raccomandata soltanto a chi, appunto, può servirsene come un manuale. Direi, anzi, che dovrebbe essere lettura obbligatoria per tutti gli altri che, innanzi tutto, dovrebbero vergognarsi della situazione descritta; e, poi, sentirsi spinti a far qualcosa, qualsiasi cosa, per modificare lo stato delle cose.
Le linee di svolgimento di questa azione di cambiamento sono ormai chiare. Si tratta di partire dal riconoscimento del diritto di identità sessuale, come momento costitutivo della personalità. E, quindi, bisogna proiettare questo dato nella dimensione affettiva, del legame sociale.
Si tratta di questioni che riguardano soltanto la condizione omosessuale? O, attraverso la riflessione puntuale su questa condizione, si scorgono limitazioni più generali delle libertà individuali e collettive? Quando si parla di adozioni o di rapporti tra i partners, ad esempio, si toccano questioni che ormai appartengono alla vita di molti, della persona singola che vuole adottare o di chi fa parte di una qualsiasi coppia di fatto.
Non voglio annegare la specificità spesso drammatica della situazione degli omosessuali in una indistinta necessità di ripensare la disciplina dello stato delle persone. So bene che un rifiuto, una discriminazione basati sull'omosessualità riflettono un atteggiamento e manifestano una stigmatizzazione che non sono assimilabili a quelli che riguardano altri soggetti. La stigmatizzazione, anzi, compare anche in situazioni nelle quali il riferimento all'omosessualità non è per nulla necessario. Penso alle notizie che parlano di un accesso alle tecnologie della riproduzione negato "ad una coppia di lesbiche", quando è del tutto evidente che si tratta di un diniego (per me comunque inammissibile) fondato sulla riserva di quelle tecnologie solo a quelle donne facenti parti di una coppia eterosessuale legale o di fatto: riferito, dunque, ad una condizione personale generale, tanto che l'intervento sarebbe negato anche alla donna sola non lesbica.
La condizione omosessuale diventa così rivelatrice di altre storture. Ed è per questo che, se ci muoviamo sul terreno dei diritti, la loro negazione si tradisce in una negazione dell'ordine comune. Per continuare a discriminare gli omosessuali, si è obbligati a violare principi generali di eguaglianza, di riconoscimento dell'altro. Ed è per questo che ogni azione per i diritti degli omosessuali assume il valore di una ricostituzione di un ordine violato, del rifiuto di una violazione che investe i diritti di tutti. Voglio forzare un po' i dati costituzionali, e rileggo l'articolo 2 dove si afferma che "La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali, ove si svolge la sua personalità". Non è forse una piccola formazione sociale l'unione che si stabilisce tra persone dello stesso sesso? Non è forse vero che pure il nostro sistema giuridico si è venuto evolvendo nel senso di un riconoscimento sempre più largo alla forza degli affetti? E allora: non siamo di fronte ad un impedimento al libero sviluppo della personalità quando si nega o si reprime la condizione omosessuale, nella dimensione individuale come in quella sociale?

Questo libro è anche il documento di una distanza ancora grandissima tra gli sforzi di rinnovamento civile e la condizione concreta dell'omosessuale in Italia. Anche qui parlano i fatti che, mostrando gli ostacoli radicati nelle norme e nelle prassi, ci parlano delle difficoltà di rimuovere arretratezze e pregiudizi, che ancora dominano anche là dove ci si dovrebbe aspettare un atteggiamento volto a creare le condizioni per la loro eliminazione e, prima di tutto, per rimuovere la cultura che li sostiene.
E' possibile uscire da questa situazione? Il disegno di legge sull'istituzione dello stato di unione civile, pubblicato in appendice, ci dice che questa possibilità esiste, che le vie tecniche sono già state tracciate. Ora si tratta di cominciare a percorrerle. Non serve un gran coraggio. Basta non rimanere prigionieri del perbenismo sempre in agguato, e rendersi conto che l'affermazione dei diritti civili vale qualche sacrosanta forzatura.